giovedì 31 gennaio 2008

HITCH TO THE BEACH (and rolling into the street.... occasionally)

Antigua, da qualche parte sull'isola.
rolling

Sono a terra dolorante, nel bel mezzo della strada. L'asfalto scotta sotto la schiena e sto abbracciando una tavola da surf.
Qualche ora fa eravamo dall'altra parte dell'isola con la ferma intenzione di essere a Jolly Harbour prima del pomeriggio. Podhric vuole trovarsi qualche lavoretto, ed io devo trovare un passaggio per St. Martin.
Ben presto abbiamo scoperto che stare ad aspettare l'autobus alla fermata e' tempo sprecato: basta alzare il pollice che in men che non si dica qualcuno si fermera' per darci uno strappo; quantomeno un po' piu' vicino alla nostra destinazione. Cosi' abbiamo girato per giorni l'isola, sul retro di pickup vecchi e nuovi, stipati in camionette da trasporto o sul tetto di camion e trattori.
I pickup sono quelli che preferisco: ci si sdraia comodamente sul retro e si lascia che il paesaggio ci scorra davanti agli occhi come il rullo di un film.

hitch to the beach

Per raggiungere la spiaggia abbiamo cambiato 5 macchine, per tornare 7 (considerato che abbiamo deviato a Shirley Heights per l'aperitivo).
Contrariamente a quello che si possa pensare uno spostamento che richiede di essere caricati da piu' macchine e' molto meglio di un passaggio diretto: chi ci ha caricato una volta lo fara' ancora e piu' veniamo caricati, piu' possibilita' avremo in futuro di essere caricati.
Ma facendo autostop non si incrementano solo le proprie possibilita' di girare l'isola, bensi' anche quelle di lasciarla, magari a bordo di un bel veliero: infatti la sera al bar si ricambiera' il passaggio offrendo una birra, e sara' questione di minuti prima che qualcuno (che ci ha visti, ma non ha potuto o voluto fermarsi) ci dia di gomito e ci chieda se - alla fine - ce l'abbiamo fatta, allungando al contempo una birra di felicitazioni.

A livello tecnico si trattera si trattera di assumere l'aspetto conforme allo stile della macchina da cui vogliamo essere caricati (si', si puo' - ed e' anche facile - scegliere da chi essere caricati).
Cosi' occhiali da sole, camicia aperta o torso nudo, e birra in mano faranno fermare le ragazze dirette alla festa in spiaggia, ma se vogliamo avere qualche possibilita' di avere un passaggio dalla famigliola diretta in citta' sara' meglio abbottonarsi, darsi un contegno e far sparire la birra.
Scegliete un posto lontano dalle fermate degli autobus (ma cos'e', sti barboni non vogliono manco pagare 2 lire per il bus?) e con uno slargo in prossimita' che faciliti l'accosto. Se e' buio, mettetevi sotto la luce: nessuno prende a bordo un'ombra appostata sulla strada. Di notte in effetti la faccenda potrebbe farsi piu' difficile: meglio dunque entrare in un bar e chiedere direttamente un passaggio, mal che vada lo troverete per la prossima festa e non per casa (poco male, all'alba e' piu' facile fare autostop).

Ma che cosa ci faccio per terra, in mezzo alla strada, dolorante, e con una tavola da surf in braccio?
Sto tenendo la lezione numero 2 sull'autostop, con esempio esplicativo.
Una volta saliti sul retro di un pickup, flettere prontamente le ginocchia e sedersi saldamente al centro, aggrappandosi al contempo a qualcosa. Non sia mai che indugiaste un attimo, e chi vi ha caricato sia un surfista dall'accelerazione facile...

THE BEST PLACE TO FIND AN ACCOMODATION IS THE BUS STATION.

English Harbour,

Antigua



Una regola che il barcastoppista impara ben presto recita che il posto migliore per trovare un imbarco non e’ lo yachtclub o il porto, bensi’ il pub di grido della zona.

Che ci crediate o no, e’ quello il posto in cui dovrete passare una buona parte del vostro tempo se volete fare barcastop. Le ragioni sono molteplici, innanzitutto nei luoghi di ricreazione e’ piu’ facile socializzare e fare amicizia: l’ armatore (o il capitano) stesso e’ piu’ rilassato e ben disposto alla comunicazione, da parte sua ha anche modo di conoscere in maniera diretta il comportamento e la personalita’ del barcastoppista. Poi ci sono pure dei motivi prettamente pratici: il bar e’ accessibile a tutti, mentre spesso i marina sono sorvegliati e l’ accesso e’ ristretto, per cui bisogna sempre inventarsi qualche escamotage per poterarrivare alle barche. A volte nonci siriesce proprio, e spesso anchese cisi riesce si trova l’ equipaggio intento a lavorare o l’ armatore a pranzo.

Questi sono soloalcuni esempi tanto perdare un’ idea.


La stessa cosa vale per la ricerca di un posto dove passare la notte: ilmetodo migliore per trovare una buona accomodazione con un miglior rapporto qualita’-prezzo resta quello di camminare per le strade e cercare piccoli appartamentini o stanze private in affitto. Solo che cio’ richiede tempo, energie, ed una buona dose di fortuna. Normalmente, invece, si arriva in un posto nuovo tardi, stancati dal viaggio, e col bagaglio da trascinarsi.

La soluzione migliore consiste allora nell’ investire in una comoda e sicura camera d’albergo (a maggior ragione che si risparmia in questo modo un’ infinita’ di tempo presso le zelanti e sempre sospettose autorita’ degli uffici immigrazione). Dopodiche’, il giorno dopo, le alternative sono molteplici a seconda del luogo: case private, camerein affitto, ostelli, crew-house,guest-house, badandbreakfast, campeggi o accampamenti.

Indipendente dalla sistemazione e dal budget e’ invece la tattica di ricerca “bus station”. Sugli autobus, in spiaggia, nei bar e lungo le strade a fare autostop, ci saranno sempre ragazzi come voi,magari che sono sul posto gia’ da qualche tempo – meglio ancora se in gruppo- che saranno entusiasti di dividere l’ affitto di un appartamento, o – alla peggio – di consigliarvi su dove andare e dove non andare.

P1291857

Cosi’ mi e’ capitato anche qui ad Antigua: dopo una notte passata in una splendida villetta gentilmente prenotatami dalla mia zelante sorellina marchesina, mi dirigevo in autobus verso english harbour ovvero nel cuore dell’ attivita’ nautica dell’ isola. Gia’ alla prima stazione avevo conosciuto due ragazze sarde molto simpatiche, e dopo neanche dieci minuti Cissi, Podhric, e Jonas mi avevano invitato a dividere la loro casa in affitto.

A parte la smisurata convenienza economica (a fronte diuna settimana di affitto avrei appena pagato una notte d’ albergo), di li’ ad una decina di giorni ci saremmo divertiti come pazzi, trovando ognuno un nuovo amico e compagno di viaggio. Bottomline: scendete in strada, parlate con le persone, cercate gli amici e non le cose.

THE TERMINAL

Aereoporto P. a P.

Guadalupe.



Alle 9:45 di sera l’ aereoporto internazionale della Guadalupa e’ deserto. Alle 9:15 partiva l’ ultimo volo che ha agito come il colpo di avvio di una staffetta olimpica: tutti correvano di qua e di la’ affrettandosi a chiudere casse, serrare cancelli, abbassare serracinesche e sfilare uniformi. Il miglior piano di evacuazione che avessi mai visto. In men che non si dica mi sono ritrovato ad essere l’ unico abitante dellédificio.

Come mai non sono partito con l’ ultimo volo? Semplice, non andava ad Antigua.

L’ unico volo che trovai disponibile partiva il 27 mattina e, non avendo un posto dove stare per la notte, ho pensato fosse una buona idea fare dell’ aereoporto il mio cantuccio.

Eccomi qui che scorrazzo per i vari piani a bordo di un carrello usato a mo di skateboard. Scrivo (ho tante cose arretrate da spostare dalla testa alla carta), poi consumo il panino e la birra strappati alla commessa prima che fuggisse dal bar. Girovagando esploro l’ edificio. Mi sento come Tom Henks in quel film: l’ aereoporto e’ la mia casa per una notte.


P1271821


In un angolo remoto al terzo piano trovo la “sala riunioni”: ha la moquette per terra, l’ aria condizionata, ed un lussuoso bagno privato, ovvero, non potrei chiedere una camera da letto migliore. Mi addormento con la musica di Lou Reed fra le orecchie.


08:10 am


Bene, se non ci sono altre questioni, direi che abbiamo finito: lieto che tutti siano d’ accordo per il riassetto societario. A che ora parte il nostro volo?
Io avrei una domanda.
Prego avvocato, dica.
Cosa diavolo ci fa quel ragazzo nel sacco a pelo sotto il tavolo?
Mi alzo stropicciandomi gli occhi. Tutto intorno a me manager in giacca e cravatta mi guardano allibiti.

Salve, qualcuno ha del dentrificio? – chiedo agitando lo spazzolino.
Inaccettabile! – Urla uno.
Assurdo, paradossale, fantascientifico! - Rincara l’ altro.
Ridatemi la mia quota della societa’!
Ma su andiamo ragazzi, e’ solo un po’ di dentrificio… (cerco di mitigare gli animi) Tu, bella-cravatta: scommetto che c’hai anche il colluttorio…
Risa.

Mosieur Marco Ferrario… Marco Ferrario… Marco… Ferrario…. (Come sanno il mio nome?)

Mr Marco Ferrario e’ urgentemente richiesto per il check-in. Volo AN747, last call.


Mi alzo, questa volta davvero, e corro…

JE SOI CHERCHE’ UN BARCO PUR ALE’ A ST. MAARTEN.

Marina Point a Pitre,

Guadalupe



Se l’ occasione fa l’ uomo ladro, la necessita’ aguzza l’ ingegno. A pagina 2 dell’ abecedario per la comunicazione efficiente c’ e’ la regola della mimesi: per favorire l’ ascolto nell’ interlocutore, e stimolarne l’ empatia, giova omologarsi ai suoi modi irriflessi di comportamento e discussione. Pause, ritmo del respiro, toni, vocabolario, stile, linguaggio del corpo. Prima di tutto cio’ l’ idioma stesso.

E qui c’ e’ da ridere. Sebbene infatti possa vantare una certa abilita’ affabulatoria, non si puo’ certo dire che io sia poliglotta, essendo la mia lingua limitata a galoppate in italiano, equilibrismi in inglese, allegre rotolate in espanol, e poco piu’ che balbettii in francese. Dal mio arrivo in Martinica ho pero’ cercato di lanciarmi col francese, piu’ che altro per aumentare la mie possibilita’ di imbarco; le barche battenti bandiera francese sono le piu’ diffuse al mondo e, sebbene quasi tutti parlino bene o male l’ inglese, non prendono nemmeno in considerazione una persona che non inizi con almeno qualche convenevole nella loro lingua (che tutt’oggi credono essere la lingua universale).


P1251806


I risultati sono a meta’ fra Toto in piazza duomo e Abbatantuono a Marrakesh: “Mesieur, porfavor, se oblije’ dal tratte’ internacionalle a farme ale’ into lu port, porqua soi cherche’ un bato’ – che soi marinero minga turist – e volevant savouir se ce estat someone che ale’ a ST Maarten. Porfavor, perpiacer, non se entromette’ e lasser fez che stoi a fer le rounde’ de tut le Monde entuar!’’.

Il piu’ delle volte la bona volonta’ (o la confusione) paga, e quando non paga mi rilasso con una supercazzola : ‘’Escouse moi, ma chertamont je parle’ France’ : la renault de la pejault de la Talbout! Se minimo’ paradossal! E chissen’frua’ se non capish, soi oblije’ a ale’ (campion du mund) orvoi, a la bajour !’’


Ad ogni modo, nonostante il moi francese spumeggiante, la Guadalupe non offre grndi occasioni di imbarco. Sono sicuro che in una settimana riuscirei a trovare un passaggio per Antigua, ma qui la vita costa troppo, e non ha senso restare.


Una barca si e’ anche detta disponibile a darmi un passaggio, ma mi costa di piu’ aspettare qui di salpare con loro che non volare ad Antigua… ancora una passeggiata fra i pontili, e poi andro’ ad acquistare un volo per poche decine di dollari, le jue’ son fe’…

STUPIDO HOTEL

24 Jan,
Near Point a Pitre Marina...
Groiser, Guadalupa.
23:59pm


- Da cosa stai scappando?
- Non sto scappando.
- E allora che cosa e' questo tuo girare inquieto? Non hai trovato nessun posto che ti piaccia?
- Al contrario, tanti, forse troppi, ma voglio vederne ancora.
- Sei ingordo...

Juliet e' una puttana. Mentre parla fa dondolare la gamba accavallata, sbatte maliziosamente le ciglia. Accarezza le parole che le escono di bocca con le labbra, affila le consonanti con sinuosi evoluzioni della lingua.
L'ho trovata qui, che fumava una sigaretta sul bordo della piscina. L'hotel e' a ore, ma almeno il letto e' pulito: "Les plus economic" mi assicurava il taxista mentre scaricava i bagagli.



La clientela l'avevo intuita dal fatto che in cambio dellla chiave nu ometto con gli occhi chiusi mi chiedeva solo 45 euro, e nessun documento.
Sulle pareti nessun cartello invita i gentili clienti al silenzio, e specchi ovunque. Era gia' sera inoltrata quando sono arrivato, e dopo una doccia la mia unica preoccupazione era di mettere qualcosa sotto i denti prima di dormire.
Ma invece di un bar ho trovato Juliet nel cortile di questo motel, fumava annoiata una sigaretta e piuttosto che parlare voleva accertarsi che le lenzuola del mio letto non fossero troppo in ordine e - dato che ero io - anche a meta' tariffa.

- Sono sicuro che potremmo divertirci, ma forse sono troppo stanco, ho avuto una lunga giornata.
- Da dove vieni?
- Dalla Martinica, Le Maren.
- Davvero? Non mi sembri creolo, e men che meno francese... Ma dov'e' che stai andando?
- Avanti. E tu?
- Non ne vale la pena, Odisseo. Chi non si ferma adesso, subito, non si ferma mai piu'. Quello che fai, lo farai sempre. Devi rompere una volta il destino, devi uscire di strada, e lasciarti affondare nel tempo...
- Non sono immortale.
- La strada lo e'. Che cosa e' vita eterna se non questo accettare l'istante che viene e l'istante che va? L'ebbrezza, il piacere, la morte, non hanno altro scopo. Guarda dove vai. Cos'e' stato finora il tuo errare inquieto?
- Sono domande belle, ma la via per le risposte potrebbe essere piu' lunga della strada. Bon nuit. Ci rivedremo?
- Saro' sempre sulla strada.

Socchiudo gli occhi, ed intanto quasi mi addormento. Prima di cadere nel sonno rivedo la giornata: ecco la sveglia che suona, e le 6:50 di mattina sono scandite dalle gocce che dal tendalino cadono in coperta, proprio sulla mia cabina.
Rassetto le ultime cose e chiudo definitivamente la barca.
Eccomi che sto scaricando i bagagli: eccomi mentre faccio oscillare il braccio cercando l'equilibrio giusto per lanciare il bagaglio piu' grosso in banchina, eccomi che capisco che non ce la faro' ma che piuttosto che lasciar cadere la borsa in acqua tanto vale tentare il tutto per tutto e spiccare il volo con il bagaglio ed il mio stesso slancio, cercando di raggiungere la banchina.
Ecco l'idea stupida... la borsa atterra in salvo, mentre il mio stinco si sfracella contro lo spigolo della banchina, ed io che abbraccio un paio di bitte per evitare di cadere in acqua.
Mi tiro su e guardo la gamba: fa paura. Il dolore e' sopportabile ed il sangue poco, ma dallo stinco sporge un gonfiore mostruoso, sembra che stia partorendo la larva di una seconda gamba.
Riesco a camminare, non e' rotto, il ghiaccio risolvera' , non ho tempo di andare all'ospedale. Devo prendere il taxi collettivo (unica forma di trasporto pseudo-pubblico in Martinica) e quelli partono quando sono pieni; la strada per Fort de France e' lunga e la nave per la Guadalupa non aspetta.
Mi imbottisco di antidolorifici e mi trascino coi bagagli al parcheggio.
Eccomi nel taxi mentre sorrido ad una donna e la Martinica mi scorre di fianco, dietro al finestrino.
Eccomi al porto, in coda per i controlli di sicurezza.
Ecco il mio coltello, che invece di essere nella borsa e' fissato saldo alla mia cintura.
Corro, corro via dalla fila, indietro al check-in.
- Ho bisogno della borsa, devo metterci questo, non sapevo che fosse come all'aeroporto.
- I bagagli sono gia' andati.
- Ma...
- I bagagli sono andati. Desole'.

Faccio due passi desolati.

Ecco il mio sguardo che incontra quello di un fattorino: mi fermo, si ferma.
UNa mano si allunga col coltello, mentre sorridiamo entrambi.
E' stato di parola, oltre la barriera dei controlli, alla scala d'imbarco, le nostre mani si stringevano ancora ed ora il coltello e' qui, sul mio comodino.

I passaporti si tingono in giallo...

23 Jan,
Le Maren, Martinique


Guardo la barca con cui sarei dovuto partire oggi levare l'ancora e prendere il largo.
Ne sono successe di cose negli ultimi giorni. Due mattine orsono salutavo Viola e Marco mentre si imbarcavano su OVILAVA con Erio che li avrebbe portati a S. Lucia. Il giorno stesso mi contattava tramite FindACrew un certo Micheal da Londra, dicendomi che avrebbe potuto darmi un passaggio per la Guadalupe. La sera successiva eravamo seduti ad un tavolo del Mango Bay - il bar in legno affacciato sulle banchine del porto di Le Maren - per fare la solita chiacchierata pre-imbarco.
Durante questi incontri sostanzialmente lármatore si preoccupa di verificare che chi prende a bordo non sia uno sbandato, una persona pericolosa, o con qualche documento non in regola; il barcastoppista si preoccupa che lármatore non sia un contrabbandiere, o un maniaco, e che la barca non coli a picco.
Dopo questi accertamenti preliminari si passa a quelli attitudinali: scopi ed ambizioni, gusti a tavola, interessi, stili di vita, manie.
Qualche notizia biografica: passato, educazione, famiglia, lavoro.
Solo alla fine si trattano gli argomenti piu´ prettamente nautici: esperienza, qualifiche, stato della barca, stile di navigazione.
Se tutto va bene fin qui si passa alla precisazione della futura collaborazione o crociera: pagamenti, coperture spese oppure casse comuni, i compiti e le responsabilita´a bordo, il porto ed il momento di sbarco.

Siamo cosi´a parlare di queste cose e noto presto che Micael e´strano, parecchio strano, e indipendentemente dal fatto che sia dell'altra sponda.
Mentre finisco la birra sono indeciso se accettare l'imbarco o meno. Non mi preoccupa che "porti i pantaloni da architetto", sapevo che prima o poi viaggiando in barcastop mi sarebbe capitato in equipaggio qualche culattone.
Michael ha qualcosa che vuole nascondere, che ha paura che si sappia, e non e´certo la sua palese omosessualita´.
Ad ogni modo per il resto mi sembra una persona a posto, e mi convinco che quel sospetto istintivo sia solo frutto si una inconscia manifestazione di omofobia.
Il viaggio e´breve, si tratta di poche decine di miglia per la Guadalupa, e a bordo ci sara´ anche un altro barcastoppista, James, un ragazzo simpatico che ha gia´ navigato con Michael e che mi assicura che nonostante tutto e´una persona a posto.

Ci accordiamo per vederci l'indomani mattina davanti alla dogana per mettere il mio nome sulla crewlist. Mi godo l'ultima serata al calebasse.



Alcuni porti "all'avanguardia" - come quello di Le Maren - hanno dei computer tramite cui ogniuno puo´ sbrigare autonomamente e velocemente le procedure burocratiche di ingresso e uscita, che poi necessitano solo di essere confermate e vidimate da un ufficiale.
Curiosamente, mentre svolgiamo queste operazioni, mi accorgo che Michael si registra con un nome diverso da quello con cui si e´presentato. La cosa mi puzza e non mi piace affatto, ma tutto sommato sono fatti suoi e non ho voglia di perder tempo, voglio partire al piu´presto e raggiungere una nuova isola.

Una volta che la mano del questurino ha premuto il timbro sul nostro documento di uscita imbocchiamo la porta a vetri per salire in barca e salpare. Nel mentre vedo che Micael (o come diavolo si chiama davvero) prende il mio passaporto e se lo mette in tasca.
-We have finished, may I have my passport back? Gli chiedo allungando una mano.
-Now It's mine.
La battuta, pur volendo essere una battuta, e´ infelice. Gli spiego pacatamente che non mollo mai il mio passaporto, essendo l'unica cosa che mi possa garantire il ritorno a casa per qualunque evenienza.
Lui ribatte che e' abituato a tenere sempre tutti i passaporti insieme nel tavolo da carteggio, che cosi' e' piu' comodo, che sarebbe a portata di mano in caso di un controllo. Gli faccio notare che dobbiamo andare dalla Martinica alla Guadalupe - due isole appartenenti alla stessa nazione, la francia - che nessuno ci controllera' e che anche in tale remoto caso potrei comunque presentare io il mio passaporto.
M. ribatte iniziando uno sproloquio sul ruolo del Capitano e sulle sue responsabilita', sui marinai e sull'etica in mare. A questo punto gli dico che se proprio vuole tenerlo quanto meno deve dirmi il suo nome e cognome ed il suo numero di passaporto. A questo punto M va' (o finge di andare) su tutte le furie, producendosi in una scena isterica sulla fiducia ed il rispetto reciproci. Lo blocco subito: No way I am gonna leave my passport to someone I don't even know the full name. Mister X continua con le scuse cercando di convincermi. No problem, I am not gonna come anymore., let's get my name off the crewlist.

La sera al bar c'e' chi dice che sono stato troppo scrupoloso, chi invece e' daccordo con me: il passaporto non si molla mai, di certo non a chi non si conosce bene.Era un passaggio comodo proprio quando la Martinica mi aveva preso a noia, ma non importa, trovero' un'altra barca per raggiungere la Guadalupa.
Col passaporto, il viaggio continua...

MA LE ATTESE SI CHIAMANO DAVVERO RITARDI?

17 Gen,
Le Maren, Martinique (still...)


Le partenze sono tutte uguali. Come le prime partenze sui mari. Il distacco dalla terra avveniva sempre nel dolore e nella disperazione, ma questo non aveva mai impedito agli uomini di mettersi in viaggio, agli ebrei, ai pensatori, a chi ama i viaggi per mare, e non aveva nemmeno impedito alle donne di lasciarli andare, alle donne che non viaggiavano mai, che rimanevano a custodire il luogo natale, la razza, i beni, la ragion d'essere del ritorno. Per secoli le navi avevano reso i viaggi più lenti, più tragici di quanto non lo siano ai giorni nostri. La durata del viaggio corrispondeva alla sua lunghezza, in modo naturale. Si era abituati alle lente velocità umane per terra e per mare, ai ritardi, all'attesa del vento, delle schiarite, dei naufragi, del sole della morte. I piroscafi che la ragazza bianca conosceva erano oramai gli ultimi corrieri del mondo. Durante la sua giovinezza erano entrate in funzione le prime linee aree che dovevano pian piano privare l'umanità dei viaggi per mare.
- L'AMANTE di Margeruite Duras


Dopo una settimana di cazzeggio e' tempo per tutti di cercare una nuova barca.
Viola e Marco vogliono andare verso S. Lucia per acchiappare un imbarco ora che l'ARC World sta per partire da Rodney BAy alla volta di Panama. Chiamero' Joel per farli ospitare, io resto qui. I miei piani sono di andare a Nord, e vedere l'altra parte dei caraibi sebbene in molti mi abbiano sconsigliato l'area tra St Maarten e Portorico, con in mezzo le isole Vergini. Dicono che sembra il parco giochi d'america: casino' e locali sberluccicanti, fast food e cattedrali di neon e cemento.
Ma io voglio vedere CUba, e la strada e' quella...
Parte cosi' il consueto giro dei pontili alla ricerca di una barca per la Guadalupa, da li' Antigua e poi ST Maarten, e via verso Puerto Rico e la Repubblica Dominicana.
Alla fine del porto mi ritrovo in mezzo ad una specie di sagra: e' il mercatino dell'usato dei marinai.

Accovacciato in un angolo ci sta un omino che ha ben poco a che fare con pompe idrauliche e garrocci di rispetto. Riverso su un piccolo pezzetto di legno aguzza le ciglia come il vecchio sartor fa nella cruna: sta intagliando la miniatura di una scimmia da un seme.
Su di una stuoia di fianco a lui i suoi lavori recenti. Un medaglione attira subito la mia attenzione: ha il fascino dell'africa e la semplicita' del frutto paziente del lento lavoro della natura.
Chiedo informazioni all'omino: "WA-WA!!" esclama.
E' una pianta africana che prende il nome dall'esclamazione di stupore che genera in chi si imbatte in essa. L'omino mi dice anche il suo nome biologico, Entada Gigas -ovviamente - in latino.

C'e' poco da stupirsi che un venditore di strada conosca il latino: Dimitur e' un biologo, viene dalla Bulgaria, dove si e' laureato. Sulle sue opere c'e' intagliato il nome della sua famiglia (o meglio il soprannome del suo Clan): VELIN, sta scritto in maiuscoletto sgangherato.
Qualche anno fa, stanco di fare il ricercatore, si e' messo a girare il mondo vivendo della sua passione: intagliare sculture in miniatura da semi e sassi colti sulle rive delle spiagge o nelle foreste.
Ma forse vuole tornare alla sua terra natale, la polizia gli rompe le palle: "Non fanno nulla per quelli che ti vendono la ganja per strada, ma uno come me - invece - non puo' stare".
Dimitur e' un omino striminzito, sembra una miniatura come quelle che scolpisce. Ma la sua faccia e i suoi modi denunciano la cultura che porta sulle spalle ed il mondo che ha girato.
Mentre parla i suoi occhi sono fissi verso un punto di fuga invisibile alla maggior parte degli uomini, stanno scrutando diversi orizzonti, scappando verso ricordi, pensieri e luoghi remoti.
E' forse questa la cifra degli uomini di mondo, il marchio, il contakilometri delle miglia passate: i loro occhi fissano cose che non ci sono, le pupille sprofondano lungo rette convergenti in strati della realta' a cui l'occhio, alla nascita, e' semplicemente miope. E' solo lo scorrere del Mondo, delle situazioni, delle persone, che penetra negli occhi aumentandone le diotrie.

Ad ogni modo gli Africani credono che il Coubaril - il seme di cui e' fatto il mio nuovo medaglione - porti fortuna, mi aiutera' a trovare un imbarco?
Il primo colpo di fortuna arriva espresso: camminando sul pontile verso la via di casa dei ragazzi mi urlano dal pozzetto di un catamarano, stanno dando una spaghettata... l'avvolgibile non si rifiuta mai, poi chissa' che non vadano verso nord...

IL GIORNO DOPO

...Il Giorno dopo

16 Jan - 08:12am


La testa pesa sul cuscino, lo stomaco vorrebbe essere pieno di una lauta colazione senza dover chiedere alle gambe di portarlo fino al bar, le membra all'unisono concordano nel voler rimanere a letto.
E' il secondo genito, fratello del vizio, arriva il mattino dopo, ed e' sempre indesiderato.
Ne ho affrontate di peggio: conto fino a 3, mi alzo.
L'acqua fresca scorre sul collo, le mani a conca, la nuca. Un rivolo scivola per le spalle, lungo la schiena. Quando cade sul pavimento e' acqua calda, ma io sono sveglio.
Occhiali da sole e sorriso, il braccio appoggiato al finestrino, dirigiamo a nord, verso il Mont Pelee' (lo so a chi state pensando).

Dopo un certo girovagare, durante il cui imponiamo alla nostra piccola utilitaria il ruolo di fuoristrada, troviamo finalmente l'accesso al sentiero per le cascate. L'aria e' fresca, pungente, siamo alle porte della foresta, in montagna.
Non me la sento di affrontare la giungla a stomaco vuoto: quattro polli fritti ed una coca, pane bianco tostato. Sono Pronto.


Discendiamo in un baratro attraverso delle scale scavate nelle pareti rocciose, il corrimano e' costituito da vecchie tubature del gas saldate insieme, da steccati, e da corde.
Alle porte del Canion attraverso cui scorre l'acqua proveniente dalle cascate ci aspetta la nostra guida: sembra batman. Inguainato in una muta di neoprene nera, con degli scarponi di pelle nera ai piedi, ci aspetta a braccia conserte come il guardiano di un tempio.


Il primo livello consiste nel saltellare da una pietra all'altra avanzando lungo il ruscello, verso la bocca della montagna. Tutto qui?
No, secondo livello: ora il torrente inizia a scorrere abbastanza forte, e bisogna immergersi per risalire aggrappati ad una fune. Terzo livello: arrampicata lungo una lieve cascatella.

Quarto livello: avanzare con braccia e gambe spalancate, tenendo il corpo in tensione fra le pareti per raggiungere lo step successivo. Il percorso continua cosi' fino alla sorgente: un buco di 20 metri scavato per secoli dalla pazienza inarrestabile dell'acqua.
Qui giochi, arrampicate, e tuffi fino a quando l'acqua fredda non ci invita ad andare.

Prendiamo la via di casa costeggiando le spiagge occidentali: una serie di tranquilli villaggi pittoreschi ci passa davanti agli occhi, in particolare St. Pierre merita una visita...
Mentre il sole si puccia nel mare penso alla cena: e' stata una giornata elettrizzante, ci meritiamo una bella bistecca al sangue.

Martinicando

15 Jan 08
Martinique, Porto di Le Maren


Fra la settimana successiva al mio arrivo dalla traversata e quella che stiamo passando ora ormai sono circa 20 giorni che passo in Martinica. La cosa mi ha preso un po' a noia, cosi' abbiamo noleggiato una macchina con Viola e Marco e siamo andati a vedere la parte di isola che non avevo ancora visitato.
Doveva venire anche Benedetta, una ragazza molto simpatica che abbiamo incontrato qualche giorno fa sul Moana di Luca. Solo che poi quella sera si e' iniziato a bere ti-punch, ed il mattino dopo e' stato escluso dalla festa...

Il ti-punch si compone di un rito che ha del dionisiaco: il grande sacerdote pesta in un piccolo mortaio di legno mezzo lime ed un paio di cucchiaini di zucchero di canna ottenendo cosi' una sorta di sciroppo denso.
Il pestello usato per ottenere il succo si intride di tale nettare divino che l'iniziato deve suggere come un fante alla mammella. Il dolce e' dunque stillato e si puo' procedere ad aggiungere il rhum.
Il rito si perpetua fino all'alba, QB.

La gita e' dunque slittata al giorno successivo dato che - cascasse il mondo - il mattino dopo ci siamo non svegliati.
P1151668

Ad ogni modo abbiamo guidato lungo la costa orientale, attraversando la campagna e costeggiando i bei paesini che sanno piu' di villaggi. Qui il turismo e' molto piu' limitato e si respira un aria un po' piu' caraibica.
Abbiamo raggiunto Trinite' dove, sotto un porticato a ridosso della spiaggia, la coda gigantesca di un Marlin enorme dominava il banco del mercato del pesce.
P1151616

Se quel terzo era cosi' grosso (sara' stato almeno 100 kili) la bestia intera doveva essere qualcosa di spaventoso.
Mhai Mahi, piccoli tonni ed aragoste occupavano il resto del bancone. Una signora dalla faccia paffuta ed i capelli raccolti da una bandana acchiappava le aragoste e le sbatteva su uno dei piatti della bilancia, mentre sull'altro schiaffava uno o due di quei vecchi pesi a forma di lingotto. Qualcuno a contorno pubblicizzava la sostanza delle merci con espressioni di stupore ed ammirazione.
P1151618

Dietro, sulla spiaggia, un pescatore con un coltellaccio a forma di sciabola puliva il pesce su un banchetto: altri piu' defilati erano intenti a preparare le lance in secca per la pesca della sera. Dopo esserci interessati dell'andamento del mercato del pesce, dei prezzi, e dei rituali della pesca, lasciamo il mercato per addentrarci nella penisola di Tartarre.
P1151680
Ci siamo fermati in un paio di spiagge, in una baia rivolta a nord l'acqua e' cosi' bassa che si puo' camminare nell'oceano per quasi un kilometro.
Dopo uno spuntino, la passeggiata nel parco naturale attorno alle rovine del forte che domina la punta.

Siamo quindi rientrati per concludere la giornata con una cena da Gianni a S. Anne. Questa volta gli ho imposto di farmi trovare le pizzette napoletane.
Intorno al tavolo c'erano Viola, Isotta, Marco, Vieri, Luca, Benedetta, Isa ed io. Abbiamo mangiatoe bevuto divinamente, coccolati dalla cucina e dalla ospitalita' veracemente napoletane di Gianni.
Dopo i dolci, caffe' ammazzacaffe', amaro e controamaro, il ruhm, la serata e' continuata in barca da Luca, ovviamente, col ti-punch.

TO BE CONTINUED...

lunedì 28 gennaio 2008

PIU' CARAIBI PER TUTTI

11 Gen
Le Maren, Martinique.


Quando non avete voglia di fare qualcosa, normalmente, cosa succede? Ovviamente niente, dovete farla e basta.
Dato che qui invece siamo ai Caraibi e' inutile affannarsi, le cose vengono da sole.
Oggi, per esempio, avremmo dovuto fare la spesa... la spesa e' venuta da noi.
Roberto, armatore romano di un super maramu ormeggiato sul nostro stesso pontile, ci ha offerto l'esubero della sua cambusa - che piu' che un avanzo era una cambusa di due giorni per quattro persone.
Mentre snocciolava dalla stiva leccornie del calibro di arrosti, pasta garofalo, aragoste, caffe' sant'eustachio, parmiggiano, etc, ci guardavamo esaltati come quelli che hanno vinto al superenalotto.
Come ha tirato fuori la trippa c'e' stata un'esplosione di giubilo generale che ci ha spinti ad invitare lui e la moglie per cena.
P1121597
La vita in mare e' cosi'. Ruota intorno ad una comunita' naturale alimentata spontaneamente dalla comunione di intenti.
In porto, poi, la vicinanza consolida i lagami: sara' difficile non imbattersi in qualcuno pronto ad aiutarti nel momento del bisogno.
E' questo che rende i marinai compattrioti del Mondo, conterranei in terra di Mare...

JACK SPARROW torna alla nave

10 Gen 05:50am
Rodney Bay, S. Lucia


La luna e' grossa e splendente sopra di me.
Sono bagnato dalla testa ai piedi, pieno di sabbia, che galleggio sul dinghy in mezzo al mare. Fra meno di un paio d'ore dovremo spedare per dirigere verso la Martinica... rido.
La serata e' stata bella: dopo la cena a bordo con gli altri non sono riuscito a strappare nessuno dalle braccia di morfeo, e cosi' ho preso il dinghy e mi sono diretto verso la citta' per andare a fare un po' di casino per i vivissimi locali notturni di gros ilet, a rodney bay.
Qui e' ancora viva la tradizione del JumpUp: una festa di strada che si fa risalire all'epoca coloniale, quando i pescatori ed i contadini di sera si riversavano nei vicoli con le merci non vendute, dando vita ad un vivissimo party a buffet dove si strappavano vino e cibarie a prezzi stracciati.
Di quella tradizione e' rimasto lo snack camminante, ma poi per lo piu' la festa si sviluppa nei locali notturni, pieni e saltellanti fino al mattino, con rituali e ritmi che hanno ben poco di coloniale e ben piu' di mtv show.

Qualche tempo dopo...

I bagordi e gli stravizzi, si sa, fanno felice l'uomo lascivo e rilassano il pirata dalla dura vita di mare.
Ovviamente al ritorno da tali nottate ci si sentira' cosi' grandi da poter fare come quei capitani che arrivano a destinazione sulla punta della lancia, e - spiaccando un passo agile ed elegantissimo - toccano il suolo con aria marziale, lasciando scivolare la barca dietro a se'...

Ecco i risultati...


Caffe' nero, e acqua dolce e crc per il cellulare che e' caduto in acqua con tutto il padrone...

St Lucia

08 Gen,
Pitons Bay, S. Lucia


La giornata e' iniziata con una super colazione "estorta" (d'altronde che razza di pirati saremmo) al buffet del resort di lusso che domina la baia.
Mi sono alzato di buon mattino e sono andato a raccogliere ogni ben di dio per il felice risveglio della ciurma: frutta fresca e croissant, marmellate, pani al cioccolato, poi salsicce, pancetta abbrustolita, coniglio e patate arrosto.

Cosi' rinvigoriti abbiamo potuto iniziare la nostra giornata di escursioni. Ci viene a prendere un simpatico watertaxi che ci porta a Soufrier, da li' proseguiamo con un pulmino fino al giarino botanico.
Inutile cercare di scrivere un fiore, di raccontare una pianta o di parlare di verdi capricci di madre natura: le immagini fotografiche sono molto piu' eloquenti.

Dopo tale immersione botanica ci siamo andati a rilassare nelle tiepide acque delle sorgenti sulfuree, da cui poi tutta la citta' ha preso il nome.
Ritornando ci siamo poi interessati un po' alla storia del nostro guidatore, un giovane rasta che ci ha chiarito alcuni punti della loro vita religiosa e del loro rapporto con la famiglia e con le donne.

Giunti di nuovo in baia siamo stati accolti da un tramonto di quelli che commuovono, cosi' bello che abbiamo dovuto rendergli omaggio in spiaggia, con dei gustosi aperitivi caraibici coronati da piccoli ombrellini e qualche riga di Dante...
Dolce color d'oriental zaffiro
...

ALL'ARREMBAGGIO DEI PIRATI

05 Gen,
S. Vincent, Wallilabou


I Caraibi rappresentano nell'immaginario collettivo una meta verso cui fuggire. Forse perche' per anni queste isole frastagliate e sparpagliate - perfette per nascondersi ed assaltare - sono state teatro delle scorribande dei Pirati che ne hanno rallentato la colonizzazione rendendole "terre di nessuno", e forse per questo potenzialmente di tutti.

Grandi Capitani e guerrieri come Van Dyke o L'Olandese Volante, Barbanera, Barbosa, assaltavano i velieri degli assaltatori (britannici, francesi e spagnoli) e rallentavano il dominio europeo in isole sperdute, a volte instaurando regimi libertini in cui chiunque poteva andare e venire, nascondersi, o commerciare in ogni sorta di bene (o male).
Qualcosa di simile continua ad accadere: il baluardo dei pirati nelle windward islands (le leeward - dalla Martinica in su per intenderci - sono ormai completamente "occidentalizzate") e' proprio S. Vincent, dove ci stiamo recando.
Qui si produce il 99% della ganja spacciata nei caraibi, e lungo le coste, di notte, le barche possono essere assaltate. Le guide ed i portolani sconsigliano di fermarsi, ed in effetti di barche lungo la costa si contano sulle punte di una mano.
Ovviamente fa eccezione una piccola baia a meta' della costa occidentale, di nome Wallilabou.


Dove hanno fallito la macchina del turismo e la politica e' riuscita la cinepresa americana. Qualche cinematografaro col bernoccolo della pirateria e' sbarcato con una ciurma guidata da Jhonny Deep ed ha instaurato un forte di cartapesta e la scenografia di una colonia dell'epoca intorno ad un vecchio molo e alla locanda vicina. Come risultato Wallilabou Bay e' diventata porto franco per turisti "alpitour" in cerca di uno scalo sicuro per potersi sentire avventurieri nella "pericolosa" S. Vincent.
Niente di male, intendiamoci... si fossero almeno portati via i container e gli altri relitti della scenografia...
Ad ogni modo anche noi seguiamo i consigli del portolano e sbarchiamo in questo chicco di Holliwood incastonato nella selvaggia S. Vincent.
A duecento metri dalla costa inizia gia' a venirci incontro il "comitato di accoglienza": bambini, ragazzi, e uomini di ogni eta' che a bordo dei mezzi piu' vari ed improvvisati circondano le barche offrendo ogni tipo di servizio.

La merce che hanno a bordo in genere non e' un gran che, ma nel giro di un'ora possono tornare con qualsiasi cosa.
- Pane? Frutta? Pesce? Aragosta? Ganja? Collane?
Cerchiamo di convincerli che abbiamo appena fatto cambusa.
Un bambino si avvicina a nuoto:
- Hai del filo di nilon? Se me lo dai peschero' per voi.

Nuove rovine antiche.

Al tramonto facciamo un giro per il set, c'e' un'atmosfera strana: un misto di parco giochi abbandonato e cimitero indiano dal sapore di antiche rovine nuove di pacca.


Per meditare Ci prendiamo un aperitivo sulla terrazza vicino al molo.
Bisogna riconoscere che quelli non sbagliano un colpo: la baia arrossata dal tramonto e' stupenda, alle spalle la selvaggia savana e davanti l'oceano... sorseggiamo guardando commossi la nostra barca ormeggiata in mezzo a tutto questo, come una cigliegina sulla torta.\



LA BELLA LA VA' AL FOSSO.

06 Gen,
Mattina


Dopo una buona colazione ci inoltriamo nell'isola per raggiungere le cascate.
La vegetazione e' fitta e accavallantesi: le piante crescono in ogni direzione, su tutti gli assi possibili.
Alberi, fiori, cespugli, palme e liane si abbracciano e si stringono in modo che solo la ruspa, con grandissima fatica, potrebbe forse squarciare.

Le liane colano su tutta l'isola come parmigiano filante su una montagna di pastasciutta.
Camminando ci imbattiamo in una casetta che sembra uscita da "Il Mago di Oz": all'esterno un giardino molto curato e colorato, con delle stranissime statue in latta. E' la bottega di un artista, vende souvenir ai turisti.

Proseguiamo il cammino verso le cascate fino a quando il rumore dell'acqua scrosciante ci annuncia che siamo arrivati.
Qui il paesaggio e' uscito dalle pagine di Robin Hood: un grande albero snoda i suoi mille rami attraverso i raggi del sole, mentre le radici avviluppate che vanno a formare il fusto si aprono a mordere un masso gigante, su cui l'albero intero si appoggia.

E' incredibile come la scoperta dell'acqua dolce riempia di gioia ed euforia il viaggiatore bruciato dal sole.
In men che non si dica ci tuffiamo ed iniziamo a giocare come bambini, poi facciamo il bucato.

All'arrivo di una famigliola di plurimiliardari - il cui capofamiglia ha i capelli cosi' perfetti ed impassibili ai getti delle cascate che ci chiediamo se li abbia comprati all'ikea - ci divertiamo a scandalizzarli un po' atteggiandoci a lavandaie napoletane, schiamazzando e cantando, sbattendo i panni contro le rocce mentre ci grattiamo il culo.
Le figlie ci guardano impaurite da dietro i loro occhiali da 700 dollari, mentre la loro guida sogghigna sotto i baffi e ci fa segno di approvazione.

sabato 26 gennaio 2008

Merci preziose al mercato ortofruttifero.

04 Gen,
Bequia


Dopo l'idilio di Mayerau, che all'unanimità abbiamo eletto la più bella, la preferita, fra le isole finora visitate, ci siamo spostati a Bequia.
Siamo atterrati a port Helisabet, saltando a pie' pari una serie di isolette che ci sarebbe piaciuto visitare: la sperduta e minuscola Petit Tabac proprio alle porte del "World's end reef", Canouan con la sua forma a Y e le acque smeralde, Mustique attrazione e calamita di vip e curiosi, Battowia e Petit Nevis, e tante altre si potrebbero nominare.

Ci siamo accontentati di seguirne i profili in navigazione, ed accarezzarle con gli occhi.
Daltronde non basterebbe neppure essere padroni di una barca per poter visitarle tutte, bisognerebbe disporre anche del tempo - di per sè merce rara - e soprattutto possedere il vento ed il mare sempre a proprio vantaggio.
Ogni viaggio impone delle decisioni di percorso che inevitabilmente sottraggono l'esperienza di luoghi stupendi, poco male: sarà la dispensa dei viaggi futuri.

Sbarcati a terra abbiamo espletato le formalità doganali, prelevato i soldi e fatto i soliti e noiosi bilanci della cassa comune, per poi concludere le faccende con un rabbocco di cambusa.

Ci siamo dunque rifocillati con un pollo cucinato alla brace di un cortile all'aperto su cui si affacciava una piccola taverna a conduzione familiare: le figlie stavano al bancone, la madre a preparare il riso ed i legumi in cucina, il padre al barbeque, e gli amici intorno a ridere e schiamazzare.
I Tavoli erano in realtà una lunga tavolata comune, attorno alla quale ci si spostava e ci si stringeva per far posto ad i nuovi arrivati. Fra di noi gente del luogo e qualche turista (tutti velisti) ed il tempo è passato fra le chiacchiere confuse ed amalgamate in lingue differenti.
Evitate cosi' le ore piu' calde e riempito lo stomaco, siamo saltati su un taxi per raggiungere Fort Hamilton.

Piu' del "forte" (quattro cannoni in croce su uno spiazzo) meritava la vista della baia con le barche alla fonda, e la corsa in taxi.
Qui non sono come a Grenada o a S Lucia. Qui usano tutti dei PickUp che attrezzano con un tendalino sul retro, dove vengono caricati i clienti; la forma è funzionale perchè il viaggio risulta ventilato e rinfrescante. Certo, bisogna fare attenzione a non rotolare fuori durante le lunghe salite.
Sulla via del ritorno parliamo con il guidatore, un ragazzo simpatico che pero' è scontento del suo lavoro: il gasolio costa troppo e la concorrenza è tanta, senza parlare che dieci anni fa la baia era una distesa di barche, non come ora... (e pensare che a noi era parsa affollata).
Poi parliamo della pubblica amministrazione, delle tasse, del mercato del pesce.
All'arrivo contrattiamo sul prezzo, ma è stato gentile e simpatico - oltre ad averci dato qualche dritta - e gli diamo senza insistere la cifra che vuole.

L'ultima tappa prima di rimontare sul dinghy è il mercato della frutta e verdura: un capannone in muratura aperto da ogni lato, al cui interno si sbirciano montagne di frutti esotici e pile di verdure.
Non facciamo nemmeno due passi che tutti i venditori scattano verso di noi, ognuno con qualcosa di diverso da offrirci in una mano ed il coltello per sbucciarlo e fare le porzioni nell'altra.
Per convincerci della bontà alcuni mangiano un pezzetto della propria merce con aria soddisfatta. Ci muoviamo strabiliati tra odori e colori con il nostro stuolo questionante di venditori, fino a quando non si convincono anche loro che non abbiamo bisogno di altra verdura, e che volevamo solo visitare il mercato.

Quale la cosa piu' bella? La merce piu' rara?
L'ironia con cui i mercanti stessi hanno scritto sulle pareti a caratteri cubitali: "IL CLIENTE HA DIRITTO DI SCEGLIERE IN PACE, SENZA ESSERE ATTORNIATO O STRATTONATO... I mercanti."
P1041260

giovedì 17 gennaio 2008

Aragosta, Aragosta, Aragosta.....

02 Gen 08
Mayerau


Ci siamo spostati in un’altra isoletta paradisiaca. A pranzo abbiamo mangiato in un baracchino sulla spiaggia, dove la padrona (una negra imponente coi capelli raccolti a turbante ed uno solo dei due occhi bianco come la sabbia) ha tagliato a meta’ con un macete le aragoste ancora vive per metterle sulla griglia e servircele poi con riso e verdure del luogo.

La polpa appena scottata, sgranocchiata con ancora qualche granellino di sabbia a stuzzicare i denti, e’ stata un piacere da mille e una notte grazie al quale siamo calati in una sorta di estasi zen: mangiavamo lentamente col sorriso sulle labbra e spesso gli occhi chiusi a concentrarci ancora meglio sul piacere del cibo. Quando li aprivamo, invece, incontravamo il profilo della baia con le sue palme mosse dal vento e l’acqua smeralda a frangersi contro la costa: il sorriso del vicino era un tacito plauso a quella situazione perfetta che non volevamo inquinare nemmeno con il suono delle chiacchiere italiane.

Satolli, ci siamo dedicati ognuno all’attivita’ digestiva preferita: due passi, un bagno, sdraiarsi sul bagnasciuga a godere alternativamente del sole e dell’ombra delle palme la ritmo che piace al vento.
Io mi sono messo ad osservare una strana indigena con un cappello nero da bluesman, poi ho scritto.
Nel pomeriggio ci siamo addentrati nel verde dell’isola per raggiungere il paesino dell’altro capo.


I negozi sono semplici case dipinte di colori tenui e sulle facciate e’ scritto a mano: “boutique of mary”, “grocery of j&c”, oppure “boutique, grocery, bar, and night club of jerry”
C’e’ un bar tutto colorato del solito rasta, che pero’ ha fatto un bel lavoro nel decorare il posto, e decidiamo di fermarci per un paio di drinks. A sorpresa ci porta un magnifico piatto di aperitivo con prosciutto crudo locale a tocchi, pollo e verdure… davvero buono.
Facciamo la conoscienza di ungruppo di americane, fra un sorso e l’altro.
Poi ci accorgiamo che il tempo e’ volato e ci stanno aspettando in barca per cenare (faro’ un risotto alla milanese, tanto per fare una parentesi gialla dagli odori caraibici) quindi salutiamo tutti e ci avviamo. Sulla strada buia, le solite stelle: il tesoro sberluccicante che ogni notte i caraibi dissotterrano dal cielo.

A meta’ strada, nel bel mezzo della fitta vegetazione tropicale qui interrotta da una lunga lingua di asfalto ora in discesa, una macchina ci suona, ma non per farci mettere di lato: “jump up” ci sorride una faccia dichiaratamente canadese. Sono in una decina sul pick up e vanno a fare un barbecue sulle spiagge della nostra baia.
Piu’ tardi, dopo gli aperitivi e la cena, ed uno sbarco in dinghy a remi in cui abbiamo rischiato di affondare dalle risate, li raggiungemmo sulla spiaggia per fare due chiacchiere.
Poi ancora le stelle, un buon libro, un bagno rinfrescante, ed il sonno cullato dalla risacca… lo stress dei caraibi…

CAPODANNO CARAIBICO

01 Gen 2008
Tobago Cays


Ieri pomeriggio siamo atterrati alle Tobago Cays, per l’esattezza a largo di Petit Bateau, a due passi dal reef.
Lo spettacolo e’ di quelli che commuove: nel bel mezzo del mare, a strapiombo sull’oceano, una manciata di piccoli isolotti coperti di palme e protetti dal reef regalano il relax in acque azzurre come il cielo.

La baia era affollata, e alle 19:00 ora locale (mezzanotte italiana) abbiamo inaugurato un simpatico rituale mettendo a tutto volume l’aria Nessun Dorma della Turandot cantata dal miglior Pavarotti dei tempi; giusto per salutare i nostri vicini e ricordargli del capodanno italiano.

Le barche hanno risposto contrombe e luci, e di li’ in avanti ognuno suonava o lampeggiava per festeggiare il capodanno della propria terra natale; fino a che non sono arrivati i fuochi d’artificio ad illuminare l’ennesimo festeggiamento, questa volta quello locale.

Isole da sogno ed alzabandiere

30 Dec
Petit S. Vincent


Se non ci fossero gli oneri del giornale di bordo a ricordarmi puntualmente le date avrei scordato gia’ da tempo che siamo a dicembre.

Dopo una breve navigazione di bolina abbiamo raggiunto la nostra isola: una montagnetta di fitta vegetazione smeralda, circondata alla base da una corona di sabbia bianchissima a contatto con acque cristalline e piscine naturali.
L’isola ospita uno dei resort piu’ esclusivi al mondo: poche decine di ville da sogno sono sparse qua e la’, sicche’ ogni ospite dispone di una casa privata nel bel mezzo dei caraibi. Il ristorante ed il bar centrali ospitano volentieri i velisti e li accolgono con colazione da nababbi e cocqtails tropicali.

E’ divertente il mezzo di comunicazione adottato dal resort: per chi vuole un cappuccino, il servizio in camera, o semplicemente un valletto a disposizione per essere scarrozzati in giro per l’isola, non servira’ alzare la cornetta, bensi’ bastera’ issare una bandiera sul tetto della propria villa…
Ma sapranno come farlo i viziati ospiti del lussuoso resort, o avranno un valletto anche per quello?

lunedì 14 gennaio 2008

INDIANA JONES E L’AREOPLANINO MALEDETTO

29 Dec 09:00
Aereoporto Grenada


Ieri pomeriggio ho girato il porto per cercare di capire come funzionava il traghettino che avrebbe dovuto portarci a Union Island.
Cosa facciamo normalmente in Europa? Andiamo su internet o chiamiamo l’agenzia. Non qui.
Qui ti devi recare di persona al moletto dove sono accalcate tutti i passeggeri che aspettano di imbarcarsi (per lo piu’ gente del luogo) ed attendere l’arrivo del traghetto per poi parlare al volo col capitano o qualcuno dell’equipaggio e chiedere le varie informazioni: quanto costa il biglietto? Quanto dura il tragitto? Ma domani siamo sicuri che parte?
A che ora non l’ho chiesto, tanto sono stato ad aspettarlo un’ora abbondante oltre il momento in cui si supponeva avrebbe dovuto gia’ finire di caricare tutti ed esser ripartito, e la gente che aspettava con me mi ha confermato che spesso arriva a caricarli in ritardo, e parte ancora dopo.
Niente da fare, non possiamo tentare la sorte dato che dobbiamo essere a Union prima di mezzogiorno per prendere in consegna la barca. Faccio allora un altro giro e chiedo ad una nave cargo se sarebbe disposta a prenderci a bordo: la cifra e’ ragionevole e la partenza all’ora giusta, ma i cargo sono lenti e saremmo arrivati al pelo a Carriacou da dove poi avremmo dovuto noleggiare un “taxi boat” per Union.. I taxi boat sono delle simpatiche lance in legno che gli autoctoni dipingono con colori sgargianti e forniscono di un motore per scarrozzare i passeggeri da una spiaggia all’altra, o addirittura da un’isola all’altra.

Se non avessimo avuto fretta di raggiungere Union sarebbe stato bello provare tutti questi mezzi tipicamente caraibici, ma il tempo stringe ed abbiamo optato dunque per la via aerea.
Esattamente come prendere un “taxi” qui non ha nulla a che fare con cio’ che ci aspetta dalle nostre parti, anche prendere un aereo e’ una faccenda del tutto particolare.


Un aereoplanino tipo chessna ci accoglie con le sue pale rotanti nel piazzale sul retro della dogana: all’interno cinture di sicurezza tipo auto, ed i posti di comando proprio davanti al nostro naso completano l’atmosfera stile indiana jones…
Sorvolare a qualche manciata di centinaia di metri sopra le spiagge bianche e le isole da sogno e’ stato abbastanza stupendo da caricarci di buon umore e pazienza a sufficienza per sopportare l’odioso questurino che ci aspettava alla dogana.

Uno squallido piccolo burocrate, con le spallucce dei gradi ancora incelofanate, ci ha tenuti imprigionati all’ufficio immigrazione, tempestandoci di domande idiote per un paio d’ore. Alla fine ha preteso che il comandante smontante della nostra barca venisse li’ a confermare le dichiarazioni per lasciarci finalmente andare, dopo aver versato ovviamente la tassa di soggiorno.

Comunque la bellezza dell’isola e qualche birra hanno velocemente preso il sopravvento sulle noiose diatribe e cosi’ ci siamo dedicati alla cambusa e agli altri preparativi della barca.
“Ali di Gabi”, un OVNI 43 sara’ il nostro tappeto volante attraverso le magiche isole caraibiche: domani lasceremo Union alla volta di Petit s Vincent per poi passare il capodanno alle Tobago Cays, atolli paradisiaci nel bel mezzo di reef fantastici..