domenica 26 ottobre 2008

VAVA'U

18°39'S
174°00'W

02 Ottobre 2008


Antipodi, fiordi e maiali.

Le 450 miglia percorse verso Sud Sud Owest, ci hanno portato da Rose Island alle Vava'U, un gruppo di isole centrali appartenenti al vasto arcipelago delle Tonga che si estende per circa 600 miglia in una lingua di mare che va dai 15 ai 21 gradi a Sud dell'equatore.

Al di là del freddo occhio carto-geografico le Vava'U meriterebbero una presentazione più romantica: l'isola in cui siamo atterrati è nientemeno che la casa del Sole, il primo punto sulla faccia della terra a vedere il nuovo giorno; da qui, infatti, si comincia ufficialmente a sbarrare i giorni sul calendario, cerchiando la nuova data, mentre in tutto il resto del globo è "ancora ieri", e precisamente: a Buenos Aires sono le 8 del mattino, a Greenwich è mezzogiorno, e a Shangai le 8 di sera, ma sempre del giorno prima.


Un'altra implicazione di questo prodigio del convenzionalismo interessa particolarmente i viaggiatori: quelli che percorrono l'antimeridiano da est a owest potrebbero sentirsi deprivati di un giorno di vita, dovendo di fatto saltare a pie' pari 24 ore aggiungendo un giorno alla data dell'orologio, mentre quelli che viaggiano da owest ad est dovranno all'opposto sottrarre un giorno dal loro calendario.
A voi dunque la scelta: se voleste vivere due volte lo stesso giorno fareste meglio a muovervi verso il Sol levante, se viceversa voleste per qualche motivo particolare cancellare dalla vostra vita una particolare data dell'anno, farete meglio a trovarvi pronti ad attraversare l'antimeridiano da est ad owest in prossimità di essa... volere, potere... no?



03 Ottobre 2008, banchetti tongani.

Al mercato di Neiafu l'economia domestica è di facile gestione: i prodotti sono ammonticchiati in gruppetti, ed ogni montagnola costa 3 panga (circa 1,5 dollari americani). Fra i vari gruppetti vige una distribuzione gaussiana delle unità meno redditizzie, ovvero per ogni montagnola, tra i prodotti di buona qualità, c'è n'è sempre un buon 20% di scarsa qualità: in modo democratico sarà così assicurato che nessuno possa accaparrarsi tutto il meglio del mercato, lasciando agli altri gli scarti.

I tongani sono socevoli e molto simpatici, al mio arrivo saluto tutti con un gran "Malò e lelei!", poi passo da un banco all'altro comprando un po' da uno ed un po' dall'altro, facendo così tutti contenti. "Fefe hake?" domando per informarmi sul buon umore del venditore di turno, una gran risata da parte di tutti è in genere la reazione: "palanghi, palanghi" ("ah: stranieri!") pensano, anche se in realtà rispondono "say be!" (che vuol dire "bene, e tu?").
Fra una montagnetta di pomodori ed un mazzo di erbe, incontriamo Pimi, un omone tongano più largo che alto, che ci invita ad un banchetto che si terrà nel pomeriggio durante la celebraizione di una festa tongana.

Quando arriviamo sul luogo la prima cosa che salta agli occhi è la quantità di cibo presente: più o meno c'è un maiale intero arrostito ogni 3 persone, senza contare aragoste, granchi, cesti di frutti del pane, manioca, tapioca, e dolci di cocco. Le tavolate sono lunghe decine di metri, imbandite per ogni centimetro quadrato di cibo e bevande, intorno siamo circa duecento persone.

Dopo un discorso in tongano che non capisco, si inizia a mangiare, e subito gli elementi spuri del gruppo (gli stranieri) saltano agli occhi, sono gli unici infatti che esitano di fronte al maiale arrosto: come mangiarlo? dove sono le posate?

Gli autoctoni invece non hanno di questi problemi: spezzata la croccante pelle abbrustolita, affondano le dita nello strato di grasso sottocutaneo in cerca della carne, trovata la preda afferrano con tutta la mano e strappano via un pezzo quanto più grosso possibile di corpo del maiale, che poi divorano aiutandosi con entrambe le mani.
Dopo un primo momento di perplessità non mi tiro certo indietro dall'usanza locale, ed inizio ad azzannare cosciotti di maiale con una mano e chele di granchio con l'altra, ma dopo un po' si presenta inesorabile il problema delle mani: dove pulirsi dall'unto?

Mentre mi arrovello cercando una soluzione elegante, accortosi che le mie mani stazionano a mezz'aria in posizione da padrenostro, Pimi cerca di levarmi dallo stallo indicandomi la "baccinella": una spece di secchio pieno di acqua e limone (ricoperto da uno strato di grasso ormai accumulatosi in superficie per via dei troppi avventori), accompagnato da uno straccetto di tela a mo' di asciugamano, era conteso da tutti i duecento avventori come unica toiletta.
Chiudo gli occhi ed infilo le mani nel "lavandino"... cercando di togliermi il grasso dalle mani servendomi dello straccetto giro la testa un po' ripugnato, allora vedo un gruppo di vecchiette molto più sagge di me: si stanno strofinando le mani nella sabbia pulendole con grosse foglie di banano.

sabato 25 ottobre 2008

ROSE ISLAND

14°32'S
168°08'W





C'è un'isola in mezzo al pacifico ancora più isolata di suwarow, è totalmente disabitata, e solo pochissime barche vi si fermano per via della pass stretta e poco profonda che rende difficile l'accesso alla laguna.
Se non fosse per le tartarughe marine, che solcano con le pinne la sabbia rosa per deporre le uova, e se non fosse per gli uccelli, che a centinaia incurvano i rami degli arbusti, le spiagge ed il cielo dell'isola non avrebbero altri scultori che il vento ed il mare a cambiare la loro conformazione.


E' in posti come questo che mi capita di fantasticare come potessero pensare gli uomini di quattro o cinque millenni fa, quando un uccello che ti volteggi attorno e che si fermi a fissarti negli occhi come a volerti chiedere "che c'è?" era certo un avvenimento quotidiano.
Volteggiando ad un metro di distanza sembra che con le loro ali incrociate vogliano tessere le pagine di un grande libro per mettere nero su bianco i giorni a venire; allora comprendo come sia naturale credere agli dei.

Come dubitare che quel gabbiano a poppa del mio dinghy sia Atena dagli occhi lucenti venuta a guidarmi nel mio viaggio?



... I envy those who will succeed in circling the two hundred and fifty thousand Greek stadia so ably calculated by Eratosthenes, the round of which would bring us back to our point of departure. In fancy I took the simple decision of going on, this time on the mere trail to which our roads had now given way. I played with the idea... to be alone, without possessions, without renown, with none of the advantages of our culture, to expose oneself among new men and amid fresh hazards...
- Memoirs of Hadrian










giovedì 16 ottobre 2008

Avete mai festeggiato un naufragio?

Suwarow, all'ancora.
18:02 pm


Avvolto nell’accappatoio mi asciugo la faccia con un lembo del cappuccio, mentre guardo il tramonto coprire di ombre suwarow e le sue palme; un sorriso mi si schiude fra le labbra.
Ho 24 anni, da circa un anno sono in giro per il mondo in barcastop, ed oggi sono sopravvissuto al mio primo naufragio.
Ora se la cosa vi ha colpito drizzate bene le orecchie: non solo la barca che timonavo qualche ora fa ora riposa sul fondo del mare, ma sono stato proprio io ad affondarla, e quando quella sembrava ribellarsi, restando ostinatamente a galla, l’ho anche presa a picconate per fare un bel buco nello scafo e farla colare definitivamente a picco. Credete sia impazzito? Magari con la barba incolta e i capelli arruffati, gli occhi stralunati ed il ghigno spiritato, affiancate la mia immagine al ricordo di Jack Nicolson in Shining… Ma io non sono pazzo: chiedetelo a quelli che stavano con me… Certo, ero alla barra, ma sulla barca non ero solo. Ma non crediate, i miei compagni non si sono ammutinati: mi hanno seguito tutti fino in fondo, ed ognuno ha fatto la sua parte per assicurarsi che la prua di Fafinek non solcasse mai più nient’altro che la sabbia del fondo dell’oceano.
Tutto iniziò qualche giorno fa…

Il povero guardiano dell’isola, John, era disperato per via di quella dannata barca che un francese aveva abbandonato qui a suwarow dopo aver disalberato nelle vicinanze: senza armo e senza possibilità di riparazioni era d’altronde inpensabile portarla in qualsivoglia isola abitata, essendo la più vicina di queste a più di 500 miglia, ovvero una distanza impensabile da coprire solo a motore.
Destinata dunque all’abbandondo la povera barca è stata nei mesi successivi oggetto di cannibalizzazioni varie, fino a ridursi a nient’altro che lo spettro di un veliero; qualcosa di simile ad un vecchio parco giochi abbandonato.

Quando ieri finalmente è arrivata l’autorizzazione ad affondarla, John ha chiesto l’aiuto di tutti gli equipaggi delle barche presenti alla fonda.

Dopo una breve riunione per decidere il da farsi si è passati alla fase di ripulitura: nel più breve tempo possibile ogniuno era salito a bordo ed aveva cercato di accaparrarsi qualche pezzo utile: una bussola, una guarnizione, un pezzo del motore, qualche attrezzo.
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Terminata la fase di cannibalizzazione si è passati alla fase di traino: due dinghy assicurati ognuno ad un lato dello scafo garantivano la potenza ed un eventuale aiuto alla manovrabilità, mentre la lancia di John, da prua, trainava il futuro relitto.

Non senza difficoltà riusciamo a portare Fafinek fuori dalla pass. A questo punto facciamo saltare tutte le prese a mare per cercare di far imbarcare più acqua possibile… 10 minuti… 20 minuti… il naufragio è stranamente molto lento, quando ci accorgiamo che la barca non ha bulbo!! Senza un peso consistente che contrasti il gallegiamento affondarla sarà difficile.

Si passa dunque al piano B: armati di accetta e piccone cerchiamo di demolire la barca, ma ci accorgiamo che la vetroresina è più elastica e resistente di quello che pensassimo: gli arnesi rimbalzano contro lo scafo, complici anche le onde che sballonzolano la barca e non ci permettono di mettere a segno colpi efficaci.



Proprio quando ci stavamo rassegnando ad attendere il lento naufragio, individuiamo il punto debole della barca: sfondando il pavimento del pozzetto a picconate l’acqua inizia a salire a fiotti ed invadere i gavoni ed il motore… in men che non si dica la barca si impenna mentre la poppa sprofonda nell’acqua.

A mano a mano che sento l’acqua salire verso la pancia, il mio peso si fa meno insistente sul ponte della barca, e mentre osservo la prua impennarsi al cielo sento le palme dei piedi distaccarsi definitivamente dal ponte quando l’acqua mi è ormai arrivata alla gola… fino all’ultimo istante… Della nave il capitano salva la barra, del suo primo naufragio porta a casa la pelle, e qualche foto da incorniciare…


La sera ci si ritrova tutti in spiaggia per commemorare un evento alquanto insolito nella vita di un marinaio.




CRONACHE DI UNA GIORNATA DI PESCA




SUWAROW

13°18'S
163°00'W

06 Sept 08, 15.10 utc -10


E' arrivato il momento di salutare BoraBora. 750 miglia circa ci dividono dalla nostra isola di destinazione, Suwarow.
Suwarow è un parco nazionale appartenente alle isole Cook's, è completamente disabitata eccezion fatta del guardiano del parco. E' anche stata l'ultima isola su cui Moatisser abbia vissuto. Ci fermeremo lì per qualche giorno e poi dovremmo ripartire in direzione Vava'u.

Dopo una trentina di ore di navigazione, me ne stavo tranquillo a riposare in cabina, quando un rumore inconfondibile mi ha fatto balzare in piedi ed andare di corsa in pozzetto.
"Voooooooouuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuussssssssssssssssssssssss"
Massimo era già pronto a recuperare la lenza ed io sono corso al timone per fermare la barca e tenerla prua al vento: un pesce gigante doveva aver abboccato a giudicare da quanta lenza si stava chiamando. Inizia a questo punto una lotta per la vita. Da una parte il pesce si dimena per cercare di sfuggire a quel dannato amo di acciaio che gli trafigge la bocca e che lo tira verso l'inferno: fuori dal suo mondo, fuori dall'acqua, fuori dalla vita. Dall'altra il pescatore sente la pressione di questa creatura allo spasmo, che lotta disperatamente per non essere strappata al suo elemento: cerca di recuperare quanta lenza possibile, ma ecco che il pesce fa sentire che non è ancora pronto a mollare; un colpo di coda dietro l'altro, ristrappa metri di lenza dalle mani del pescatore che ora ha le dita segnate dal filo che gli ha quasi segato la pelle. E' un tiro alla fune micidiale: il pescatore tira da una parte per avvicinare il cibo, vuole mangiare; il pesce tira dalla parte opposta per allontanare la morte, vuole sopravvivere. Dopo 30 minuti di combattimenti, ecco il risultato finale:


11 Sept 08, 10.00 utc -11


Arrivati a Suwarow!! La navigazione è stata scomoda per via di un mare grosso con onde incrociate che non ci ha dato tregua. Inoltre il vento incostante con alternanza di tempeste e calme piatte non ci ha favorito. Ma alla fine eccoci qui, il posto è fantastico: un atollo paradisiaco nel mezzo del Pacifico, a 500 miglia da qualsiasi altra isola abitata.
Una volta arrivati la prima accoglienza ci è stata data dagli squali: un allegro gruppetto di una dozzina di squali blacktail non voleva saperne di lasciarci fare il bagno tranquillamente intorno alla barca. Successivamente John, il guardiano dell'isola, ci dice che non sono pericolosi fino a quando non c'è del sangue in giro...

John è il guardiano ufficiale del parco da 7 anni, e vive sull'isola deserta con la sola compagnia della giovanissima moglie Veronica, e dei loro quattro figli. John corrisponde alla mia rappresentazione mentale di Venerdì di Robinson Crusoe.



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E' molto orgoglioso della sua carica di guardiano del parco e ci accoglie in maniera solenne. Dopo i convenevoli e i documenti, iniziamo a parlare dell'isola, ci racconta la storia dei precedenti abitanti di Suwarow: Tom Neale, il ragazzo che visse qui per circa sette anni, primo abitante assoluto dell'isola che successivamente verrà scoperta da Moatissier, il quale ne farà la sua ultima dimora "fissa", ed in fine - al terzo posto - proprio John in qualità di guardiano mandato dal governo delle Cook's.



John è molto scontento del suo governo: lo lasciano solo con la famiglia senza contatti per mesi, ed un anno sono perfino arrivati ad abbandonarli sull'isola... suwarow è nell'occhio della rotta dei cicloni e dunque durante i sei mesi della stagione degli uragani anche gli alberi se ne andrebbero se potessero schiodare le radici e nuotare nell'acqua fino ad un "urricane hole" (un isola franca dagli uragani con un porto ben riparato). Due anni fa invece John si è ritrovato a dover chiedere un passaggio per sè e la sua numerosa famiglia ad una barca in transito perchè l'autority delle cook's a rarotonga si era "dimenticata" di mandare qualcuno a prenderli.





12 Sept 08


Andrea e Gabriela di Point Zero sono arrivati, e mentre Massimo va a pescare nella pass con Andrea, Gabriela ed Io ci dedichiamo ad un po' di snorkeling.
Suwarow ha in comune con la maggior parte delle altre isole disabitate e lontano dalle rotte normalmente battute una certa atmosfera come di giardino dell'eden: è facile che gli animali, i pesci e gli uccelli dell'isola in cui ci si imbatte non abbiano mai visto un umano prima; di conseguenza sono talmente curiosi che arrivano ad avvicinarsi tranquillamente per scrutare questi strani animali con due game e due braccia...


Sarà allora facile in questi posti voltarsi e trovarsi "tete a tete" con un qualche volatile che ci scruta a soli 30 cm di distanza e sembra chiederci cosa ci facciamo qui. Finchè si tratta di uccelli, tartarughe, parghi, pesce palla, granchi, aragoste o quant'altro questa confidenza può anche essere divertente, ma quando capita invece di girarsi nell'acqua e trovarsi di fronte uno squalo le cose cambiano, forse anche per quella sgradevole sensazione data dal sospetto che quello che si stia chiedendo lo squalo non sia cosa ci facciamo qui, ma "quanto tenera sarà la carne di questo strano pescione?"...


Fantasticando questi pensieri buttiamo l'ancora vicino al reef e fingendo di essere tranquilli ci prepariamo ad immergerci, ma ovviamente al momento di doversi buttare in acqua nessuno lo dice ma preferirebbe che andasse avanti l'altro: purtroppo in qualità di cavaliere non posso agire da gran cialtrone e far andar avanti Gabriela, a questo punto faccio di necessità virtù e bluffo mostrandomi sicuro ed audace nel tuffarmi per primo.
Al primo squalo che mi passa vicino sento gelare il sangue nelle vene, a dispetto dell'acqua intorno a me, che sembra farsi bollente. Rimango impietrito cercando di passare inosservato e seguo con occhi timorosi i veloci spostamenti del pescecane. Sembra che se ne stia andando, quando di scatto si gira e mi punta con gli occhi neri come palle da biliardo e la bocca a mezzaluna, piena di quei denti effilati come falci.





Il desiderio di prendere una foto dello squalo che mi punta è forte, ma la voglia di protendere la macchina fotografica allungando il braccio in avanti è poca, mentre l'istinto di frapporre qualcosa fra me e quelle fauci prevale. Spingo allora i piedi con le pinne verso il muso dello squalo e cerco di nuotare all'indietro, quando vedo che quello, dopo un primo giro di perlustrazione, non sembra affatto dell'idea di provare la carne bianca europea mi tranquillizzo.


Sebbene in giro ce ne siano parecchi, e la sensazione di essere circondati dagli squali non sia certo confortevole, a poco a poco prendiamo confidenza ed iniziamo pacificamente ad interessarci anche degli altri figli di poseidone.
Seguo allora per un po' un gruppo di parghetti che sembra fare nuoto sincronizzato, muovendosi con grazzia in loop perfettamente geometrici.


Mentre girovago fra i massi della barriera corallina, l'inseguimento di un piccolo pesce palla mi porta a scoprire una tartaruga.





13 sept


Uno dei vantaggi di vivere in mare è la possibilità di godere di quei cibi che pur essendo molto semplici e "naturali" sono impossibili da trovare freschi in città.
Anche per chi vive a Milano, che ha la piazza del pesce più fresco in italia, anche per chi è disposto a spendere un patrimonio nei migliori ristoranti di sushi, nemmeno per questi sarà possibile assaporare del pesce crudo come quello che ci hanno preparato andrea e gabriela...
In nessun ristorante di lusso si potrà mai mangiare un pesce che è stato pescato solo 2 ore prima, e molto pochi sono quelli che possono fornirne uno la cui carne sia resa succulenta da miliaia e miliaia di miglia nuotate nell'oceano.


Certo, magari mi toccherà aspettare ancora un anno prima di potermi gustare una buona burrata, ma volete mettere il piacere di assaporare il pesce arrostito sulla spiaggia proprio all'orlo del mare, il gusto particolare di un carpaccio di tonno appena pescato, la sensazione indescrivibile di gustare le ostriche procacciate qualche ora fa con le proprie mani, l'estasi dello spaghetto con le aragoste cacciate la notte prima allo scoglio vicino alla propria barca... Una cosa di certo posso dirvi: tremo all'idea di quando, tornato in italia, dovessi attendere con un numerino in mano il mio turno per comprare da un bancone del supermercato qualche pesce surgelato... allora il pensiero ritornerebbe a quando, invece di sgomitare fra vecchiette e zitelle ed i loro carrelli, nuotavo allo spasmo per acquattarmi sul fondo del mare, aggrappato ad uno scoglio in attesa del momento giusto per scagliare l'arpione contro una bella cernia, con il mio ossigeno ed il sangue del pesce come unica moneta da pagare rispettivamente al mare e agli squali. Forse una lacrima mi segnerà il volto, ma poi un sorriso: l'ho fatto una volta, sarò capace di rifarlo ancora.

E' certo questo il bello dei sogni: una volta che ne hai vissuto uno, un fuoco si accende dentro di te, e sarà la scintilla per bruciare ogni dubbio futuro. Se si lascia che la cenere dell'apatia ci cali sulle spalle, allora bisogna trovare la forza di gonfiare il petto e soffiare via la polvere che copre di grigio le giornate ed appesantisce le palpebre: allora bisogna spalancare gli occhi e trovare la forza di guardare dritto i propri traguardi, lasciare che il sole penetri nel cuore e scaldi la passione, ravvivendo il tizzone che trasforma in fuoco la voglia di farcela. E' questo il carburante dei sogni, e la ricetta per la realtà: la determinazione.




Come mai, Mecenate,
nessuno, nessuno vive contento
della sorte che sceglie
o che il caso gli getta innanzi
e loda chi segue strade diverse?

"Fortunati i mercanti",
esclama il soldato oppresso dagli anni
e con le membra rotte da tanta fatica;
"Meglio la vita militare",
ribatte il mercante sulla nave in balia dei venti,
"Che vuoi? si va all'assalto
e in breve volgere di tempo
ti rapisce la morte o
ti arride la vittoria".
Quando al canto del gallo
batte il cliente alla sua porta,
l'esperto di diritto invidia il contadino;
quell'altro invece, tratto a viva forza
di campagna in città a testimoniare,
proclama che solo i cittadini sono felici.
Esempi simili, tanto son numerosi,
finirebbero per rendere afono
persino un chiacchierone come Fabio.

A farla breve, ascolta
dove voglio arrivare:
se un dio dicesse: "Eccomi qui,
pronto a fare ciò che volete:
tu, ch'eri soldato, sarai mercante,
e tu, giurista, un contadino:
scambiatevi le parti
e via, uno di qua, l'altro di là.
Che fate lì impalati?"
Rifiuterebbero,
eppure era possibile che fossero felici.
...

- Orazio, Satire, I,1 -