sabato 6 dicembre 2008

RICAPITOLIAMO: Oggi vi parlo della traversata verso la new zealand.

Ancora una volta non sono riuscito a tener aggiornato regolamente il blog, ma cosa volete farci? Il sole splende, il mare luccica, i posti e le persone incontrate sono cosi' belli che sarebbe stato un peccato trascurarli per stare seduto a scriverne. Riprendo allora da dove avevo lasciato, circa due mesi e mezzo fa, alle Tonga, partivamo per l'ultima grande traversata del pacifico, direzione Nuova Zelanda!


31 Ottobre, HEADING NEW ZEALAND

La traversata verso la Nuova Zelanda non e' cominciata proprio col piede migliore... il 27 pomeriggio decidevamo infatti di mollare gli ormeggi al porto di Nukualofa ed iniziare a navigare verso sud owest, con possibile stop a Minerva Reef; ma giusto qualche miglia al largo il pilota automatico iniziava a fare le bizze. Che fare? Proviamo a cercare il guasto e a ripararlo, dopo vari tentativi non ne vuole sapere di funzionare. Ormai ci resta una sola ora di luce e per me e' il caso di tornare indietro ed affrontare il guasto domattina, ma Massimo vuole fare un ultimo tentativo sostituendo l'intero pilota automatico. Dopo un'ora di smanettamenti e bestemmie, stipati nel vano motore riusciamo finalmente a sostituire il pezzo, che ovviamente non funziona. Affrontare oltre 1100 miglia in due senza pilota automatico non e' una prospettiva confortevole cosi', seppure ormai buio, ci rimettiamo sulla traccia del gps per cercare di rientrare a nukualofa senza finire su qualche scoglio. Fa un freddo cane, il vento soffia forte roboandoci nelle orecchie, siamo costretti a striizzare gli occhi come limoni perche' non si vede nulla tanto scura e' la notte; ma alla fine buttiamo l'ancora, una doccia calda e due avvolgibili: quando la testa tocca il cuscino e' ormai la prima ora del 28 Ottobre.
Dopo la falsa partenza del 27, dedichiamo la mattinata al ripristino dell'autopilota. Finalmente funziona, e dopo un breve giretto di prova ci ri-avviamo sulla nostra rotta in compagnia di "Ahu" il catamarano austriaco dei nostri amici ed altre barche.

Se l'autopilot sembra funzionare a dovere, e' il vento ora a creare disagio: groppi con raffiche a 45 nodi si alternano a momenti di relativa calma, cosi' che bisogna continuamente adeguare la tela alle condizioni. Verso le 3 e mezza di notte arriva una botta particolarmente forte e mentre mi appresto a ridurre il fiocco la scotta mi sfugge: la vela inizia a sbattere in balia del vento e le scotte schioccano come fruste impazzite di un auriga furioso. Prima che riesca a rollare la vela, le pastecche urtano l'una con l'altra con la violenza trasmessa dalle raffiche oltre i 40 nodi, il fiocco si lacera ed il punto di scotta cede.
Intanto si e' svegliato anche Massimo ed insieme cerchiamo di finire di rollare ed insalamare la vela alla bell'e meglio. Ovviamente la legatura non tiene e ben presto ne dobbiamo intentare un'altra: questa volta cerco di arrampicarmi un po' sullo strallo per poter lavorare meglio. Mentre Massimo mi abbraccia le caviglie cercando di tenermi fermo contrastando gli sbalzi delle onde, mi rendo conto che nessuno di noi due e' legato, di notte, con mare mosso e venti tesi, lavorando a prua in bilico su una rete... della serie: "cinture bene all'acciate, casco in testa, luci accese anche di giorno, e prudenza sempre!".
Anche questa seconda legatura non e' certo soddisfacente per un viaggio di altre 1000 miglia, cosi' aspettiamo le primi luci delll'alba ed un po' di calma per fare un lavoro definitivo. Ammainare la vela e cercare di ripararla sarebbe inutile dato che senza macchina da cucire e tutto il necessario non riusciremmo che a rappezzarla, senza nessuna speranza che regga al primo groppo. Col banzigo isso allora Massimo lungo lo strallo in modo da poter insalamare a dovere la vela. Anche questa e' andata, ma ora ci aspetta la prospettiva di una bella traversata di sola randa.

Dopo qualche giorno di navigazione relativamente tranquilla e' stata la volta del motore a creare problemi: il gasolio comprato a Neiafu era pieno di morchia ed acqua, cosicche' Massimo si dedica alla pulizia e sostituzione di filtri vari, nonche' allo spurgo del motore, fino a quando ci accorgiamo che in realta' il serbatoio e' mezzo vuoto e si trattava di un problema di aspirazione. Per fortuna il serbatoio di sinistra contiene ancora una ottantina di litri, ne preleviamo una ventina a cui aggiungiamo una mescola di benzina ed olio e travasiamo il tutto nell'altro serbatoio, che quantomeno ora avra' un volume tale di "carburante" da garantire l'aspirazione e qualche ora di autonomia. Puzzolenti di gasolio, ma anche questa e' andata.

Il resto della navigazione sara' piu' che altro stancante, dovendo mettere e togliere mani di terzaroli ad ogni variazione del vento per mantenere la giusta velocita', senza poter contare su altre vele o sull'aiuto del motore nei momenti di piatta. Non essendoci un generatore a bordo, la produzione di corrente e' affidata al sole (che al momento latita) ed ai motori, il cui carburante servira' all'arrivo, dunque anche i consumi si sono dovuti ridurre, spegnendo il frigo ed usando al minimo le luci.


Dec 19th, The voyage of the beagle, Darwin

In the evening we saw in the distance New Zealand. We may now consider that we have nearly crossed the Pacific. It is necessary to sail over this great ocean to comprehend its immensity... we meet with nothing but the same blue, profoundly deep, ocean... we don't rightly judge how infinitely small the proportion of dry land is to water of this vast expanse. The meridian of the Antipodes has likewise been passed.... these antipodes call to one's mind old recollections of childish doubt and wonder. Only the other day I looked forward to this airy barrier as a definite point in our voyage homewards, but now I find it, and all such resting-places for the immagination, are like shadows, which a man moving onwards cannot catch.



01/11 I MARINAI IN GIRO PER IL MONDO FANNO GIRARE “LE RUOTE”.

Una domanda che mi viene posta di frequente riguarda i passatempi durante una lunga traversata in mare: ore ed ore in navigazione con venti stabili quali gli alisei possono diventare presto noiose, quando i libri sono finiti ed i dvd gia' visti e rivisti.
Ogni barca in navigazione per lunghe tratte e' dotata di una radio SSB che permette connessioni su lunghe distanze, cosicche' ci si puo' sentire da una parte all'altra del pacifico, o addirittura (con l'aiuto di qualcuno che faccia da ponte) da una parte all'altra del mondo.
Cosi' si sono formati vari “net” (ruote per gli italiani), ovvero gruppi di persone che si sintonizzano ad una certa ora su una certa frequenza per scambiarsi informazioni utili sul viaggio, la navigazione, e la meteo; per avere un controllo reciproco sulla posizione o semplicemente per fare due chiacchiere.
Normalmente le ruote si formano per idioma parlato e sono legate ad una frequenza specifica, mentre l'orario di incontro puo' variare a seconda della posizione. Come ogni comunicazione che intercorra fra regioni del globo cosi' lontane da avere orari differenti anche gli appuntamenti sulle ruote si riferiscono all'ora universale (UTC o GMT).
Ogni net ha poi una particolare impostazione conferitagli dai partecipanti, per esempio il net inglese e' estremamente organizzato e “noioso”: apre chi si trova per primo in frequenza all'ora prestabilita ed inizia a dichiarare nome, barca, posizione, rotta, porto di partenza, destinazione, condizioni meteo passate, presenti e previste, eventuali avarie, eventuali comunicazioni di emergenza. Poi passa “il microfono” a chi fosse in ascolto, e cosi' uno dietro l'altro in perfetto ordine si alternano tutte le barche. A volte si tratta di elenchi di 50 barche con relative posizioni ed indicazioni meteo; insomma molto scrupoloso e preciso, ottima fonte di informazioni, ma alquanto nosioso da seguire.
La ruota degli italiani, come si puo' ben immaginare, a dispetto dello sforzo di alcuni zelanti radioamatori, e' all'estremo opposto: intanto l'apertura (sara' per timidezza?) e' generalmente caratterizzata da qualcuno che si mette a zufolare in frequenza qualche canzonetta (i piu' patriottici l'inno di mameli) fino a quando qualcunaltro interviene dichiarando la propria presenza. Da quel momento in poi e' una guerra per parlare: tutti vogliono intervenire, chiedere, suggerire, proporre, riportare la loro posizione o esperienza. Putroppo anche SSB come ogni radio funziona a canale unico (se parli non puoi ascoltare e viceversa) e cio' sembra radicalmente in contrasto con le abitudini comunicative del bel paese. Ma nonostante le difficolta' legate alla ressa di certi momenti (o alla completa latitanza di altri) quantomeno il momento e' molto piu' divertente riuscendo a scambiarsi qualcosa di diverso rispetto alle solite informazioni per naviganti.

Giusto per curiosita' pubblico l'elenco delle piu' comuni frequenze SSB che formano i net piu' usati nel mondo:
Rueda de los navigantes - 14.362 kHz, h. 22,00 UTC. È una delle più serie e conosciute, trasmette in spagnolo, con operatori alle Canarie, Capo Verde, Argentina, Puerto Rico, Azzorre e Polinesia. Opera su una frequenza “pirata”, permettendo così a chiunque il collegamento.

Ressort du cocotier - 13.970 kHz, h 23,00 UT. Copre la zona dei Caraibi e Brasile, in lingua francese con referenti alla Martinica, Guadalupa e Suriname. Anch’essa su frequenza “pirata”.

Atlantic network - 21.400 kHz, h l3,00 UT. In lingua inglese, è tra le più conosciute, con operatori a Barbados, Florida e Canada. Fornisce meteo dettagliati e segue le barche nei loro spostamenti.

Ressort de Abidjan - 14.112 kHz, h l8,00 UT. In lingua francese, copre tutta l’Africa occidentale e l’Atlantico e in particolare le zone tropicali ed equatoriali.

Radio Assistance Trafic Maritime - 27.530 kHz, h. 10,30 - 16,00 UT. In francese sulla banda CB, con referenti in tutto l’Atlantico ma non sempre è udibile.

Pitcairn Net - 14.180 kHz, h. 06,30 UT. Direttamente dall’isola degli “Ammutinati del Bounty”, in pieno Oceano Pacifico, uno dei discendenti dell’artefice dell’ammutinamento, Tom Christian VR6TC, trasmette meteo e informazioni per la Polinesia e le isole dei mari del Sud.


05 Ottobrre
Siamo arrivati! All'alba scorgevamo gia' in lontananza le coste della nuova zelanda. Dopo 48 ore insonni passate fra temporalate varie e sempre con la cerata indosso, siamo arrivati giusto in tempo prima che il vento ci girasse sul naso allontanandoci dalla costa, per risalire il fiume verso il porto di opua abbiamo dovuto persino aiutarci col motore, ma ormai eravamo arrivati.

Sulla via del porto abbiamo contattato le autorita' che, come norma, ci hanno imposto di ormeggiarci al pontile di quarantena ed attendere i controlli di routine. Per non dare adito a perquisizioni noiose ci eravamo gia' sbarazzati di tutto il fresco (frutta e verdura) che avevamo, compresa la povera pianta di aloe e quella di basilico. Una volta arrivati a bordo, gli agenti della dogana cestinano tutto il resto, compresi i legumi ed il cibo in scatola. La mia scultura tongana sara' spedita ad auckland per disinfestare le tarme che la abitano e la faccenda e' conclusa.

Mentre se ne vanno gli agenti fanno il cazziatone ad un amico di una barca vicina che era venuto ad aiutarci con l'ormeggio: nessuno deve aver alcun contatto di alcun tipo prima di essere ispezionato dalla quarantena....

venerdì 5 dicembre 2008

UN ANNO IN GIRO PER IL MONDO: just a davil may care life.

Il 7 Novembre 2007 dava il via alla corsa intorno al mondo.
E' passato un anno, e sono a meta' strada, infatti vi scrivo da Auckland, New Zealand.
Inutile dire che mi sembra solo ieri di aver lasciato il rattazzo per gli ultimi saluti... eppure piu' mi guardo indietro, e piu' la memoria si affolla di fatti, persone, avventure, colori, odori, sapori e sogni vissuti in questo anno attorno al mondo. Raccoglierli tutti e' impossibile, e darne una sintesi reale infattibile. Anche perche' il disco fisso con le foto di tutto il viaggio mi si e' fottuto e quindi non ho potuto inserire i migliori scatti raccolti qua' e la' in giro per il globo, ma solo quelli che mi sono rimasti.
Comunque questo video vuole essere un saluto, e un abbraccio per tutte quelle persone che vorrei avere qui ora con me, per ridere, parlare e viaggiare insieme...



If you can't see the video, follow this link:
YOU TUBE VIDEO. UN ANNO IN GIRO PER IL MONDO: JUST A DEVIL MAY CARE LIFE.
or this:
Just a devil may care life
Inserito originariamente da hell2685



Chiacchierando al bar con degli amici irlandesi ho scoperto questo detto:
Go neiri an bothair leat....
e' in irlandese e significa:
May the road rise to meet you....

possa la strada levarsi per incontrare i tuoi piedi....
lo trovo stupendo.

dedicato a voi, a tutti voi.

P.S.
Per celebrare l'anno di viaggio ho deciso di tuffarmi dalla SkyTower di Auckland in stile spiderman/mission impossible. A presto un video dedicato sul blog...



venerdì 28 novembre 2008

Cattura, sgozza, scuoia, sventra, impala e mangia... QUATTRO SALTI ALLO SPIEDO IN VAVA'U

18 Ottobre 2008, nostro banchetto

Il piatto speciale dei giorni di festa alle tonga è il maiale arrosto. Dopo averne assaggiati diversi durante svariate feste folkloristiche abbiamo deciso di provare a cimentarci in prima persona nella preparazione di un banchetto in stile locale.
La materia prima ce l’ha procurata Nito, che si è pure occupato di uccidere il maialino, mentre al resto della preparazione abbiamo partecipato un po’ tutti.

Per prima cosa, armati di machete, abbiamo provveduto all’approvigionamento della legna per il fuoco, di per sè un lavoro che alla mano inesperta risulta ben più ostico di quello che si può pensare.



Poi è stato il momento dello scuoiamento: per riuscire a “depilare” per bene il maiale bisogna prima bagnarlo con acqua bollente, e poi grattarlo con un coltello come si fa con i pesci per squamarli.

Una volta eliminata tutta la peluria bisogna passare ad un vero e proprio atto di chirurgia: facendo attenzione a non andare troppo in profondità tagliando l’intestino, bisogna incidere la pancia del maiale in modo da poter estrarre tutti gli organi. Una volta sventrato si può passare all’impalamento: bisogna cioè cercare di passare da capo a piedi il maiale con un ramo robusto precedentemente tagliato e raffinato.


Ovviamente più il maiale è piccolo e più la faccenda sarà complicata, in ogni caso è meglio asportare del tutto l’ano ed incidere I tendini della mandibola ed eventualmente la trachea, per facilitare il passaggio dello spiedo.

Una volta sbrigato anche quest ultimo lavoraccio non resta che accendere il fuoco in una buca ben scavata e passare alla lenta e paziente cottura.

Infatti per evitare che il porco sia bruciato fuori e bollito dentro bisognerà rosolarlo con cura girando in continuazione lo spiedo per almeno tre o quattro ore, ovvero


il tempo necessario affinchè il grasso si sciolga e coli attraverso la pelle, permettendo al calore di arrivare alla carne e cuocerla a dovere.


Una volta arrostito, asportare lo spiedo dal maiale e passare al taglio: le quattro cosce, le spalle e le natiche forniranno i pezzi piu' ambiti, ma anche il costato sara' succulento da spolpare. La testa poi, una vera sorpresa per i novizi, ed uno scrigno di carni succulente per l'intenditore.
Non servira' ne' sale ne' altro condimento, disporre le portate su un vassoio di foglie di palma intrecciate, ed ornare di patate arrosto quanto basta.
Bon apetit!

VAVA'U II

14 Ottobre 2008

Ci sono alcuni posti nel mondo che devono preservare il loro habitat da ogni forma di vita estranea che potrebbe portare squilibri e danneggiamenti nel microcosmo biologico del territorio. Vi ricordate la puntata dei simpson in cui bart introduce di nascosto in australia una rana? La satira non era fuori luogo. Australia e Nuova Zelanda, sono infatti i paesi più sensibili all’importazione di qualsivoglia forma biologica: ogni barca in arrivo deve dichiarare l’intenzione di raggiungere il paese prima ancora di essere entrata nelle acque territoriali.

Una volta arrivati in un porto di entrata, si sarà avvicinati dalla guardiacostiera che salirà a bordo per mettere in quarantena qualsiasi oggetto ritenuto pericoloso.
Per evitare dunque al mio amato peperoncino di finire nel fondo di un sacco nero ho deciso di lasciarlo qui alle Vava’u, l’ho regalato ad Eduardo e Maria, che sapranno farne un degno uso nel loro ristorante a Tapana Island.



Eduardo e Maria erano due navigatori, dopo aver girato per anni il mondo a bordo della loro piccola barca a vela, una quindicina di anni fa hanno deciso di fermarsi qui alle Vava’u affittando l’isoletta di Tapana e costruendovi sopra un adorabile ristorantino in pieno stile spagnolo. Ora lui suona e canta per gli avventori, mentre Maria cucina e balla il flamenco.

Sono proprio loro a presentarmi Nito. Nito, all’anagrafe Johannito Hausia, è un tongano purosangue emigrato in america all’età di dodici anni, dove si è pagato il college giocando a football per poi votarsi al tennis diventando uno dei 200 migliori giocatori al mondo. Consumata fino in fondo la carriera di giocatore professionista, dopo 40 anni lontano dal suo paese, due anni fa ha deciso di mollare tutto e ritornare a vivere in una capanna nella sua terra natale. Sarà la mia guida per un giro a cavallo.


L’arcione non e’ certo dei migliori: la sella e’ arrangiata alla bellemeglio, rotta in piu' parti ed instabile sulla groppa del cavallo, ma la bestia e' forte e grintosa, sempre pronta a scattare e a lanciarsi in lunghe galoppate fra la foresta tongana; Nito mi ha lasciato il cavallo migliore e ci siamo messi subito alla prova reciprocamente: io cercando di spingerlo verso il limite di velocita' oltre il quale le mie ginocchia avrebbero ceduto, lui cercando di scattare per la sua strada ogni qual volta chissa' quale brusio o movimento di frasche lo attirava fuori dalla sentiero battuto.



Mano a mano che esploriamo l'isola Nito mi parla della cultura tongana, di come sia cambiata in 40 anni, e della pessima influenza che i paesi civilizzati hanno esercitato. Ma la politica e' un argomento troppo pesante per l'amenita' del luogo e della passeggiata, ed incalzati dal dolce sapore dei mango che strada facendo cogliamo dagli alberi cambiamo presto discorso contemplando piuttosto la bellezza e la ricchezza del paesaggio.
Nito e' proprio il genere di persona che il viaggiatore curioso vorrebbe incontrare in ogni nuovo paese: pur genuinamente legato alla terra e addentro agli usi e costumi locali, la sua formazione cosmopolita e la varieta' di interessi gli permettono di essere una guida ideale, un tramite perfetto per avventurarsi nella comprensione di una cultura altrimenti irraggiungibile.
Nella maggior parte dei casi infatti gli autoctoni non hanno mai lasciato il paese, spesso nemmeno il recinto di terra in cui sono nati, il che rende azzardata qualsiasi supposizione di intesa: anche ammesso di avere una lingua comune, come si puo' pensare che l'altro condivida i significati reconditi dell'altrui curiosita' verso i propri costumi?
Una domanda semplice, sottesa ad avere una dritta su un buona taverna che serva piatti locali: "cosa mangiate, in famiglia o con gli amici, quando volete assaporare qualcosa di veramente buono e speciale? Dove andate?"
Risposta: "Mc Donalds!"
La globalizzazione, al suo peggio.
E' questo che gente come Giuliano Ferrara, con un ostinato candore politically correct, non riesce a comprendere: perche' certo la globalizzazione sarebbe la conquista piu' grande della storia dell'uomo, se con questo termine si intendesse l'accesso libero, pubblico, e gratuito di ogni cultura con ciascuna altra, se sotto questa bandiera splendesse la distribuzione uniforme e genuina di informazione, sanita' e benessere.
L'intoppo purtroppo e' che invece l'unica cosa che si "globalizza" (propriamente "si esporta e radica nei paesi meno sviluppati") e' una cultura del consumo votata a riempire le tasche di chi ha gia' saturato i mercati "sviluppati", che lungi da portare alcun beneficio, incentiva solo l'estinzione di tradizioni antiche e la sostituzione di abitudini naturali con surrogati e simulacri di necessita' primarie.

Con una strana malinconia Nito mi fa notare che i prati ai piedi degli alberi sono pieni di frutti passati che nessuno ha colto: i bambini preferiscono la fanta.


... a wild beast is first of all an adversary, but my horse was a fried. If the choice of my condition had been left to me I would have decided for that of centaur. Between Borysthenes and me relations were of almost mathematical precision; he obeyed me as if I were his own brain, not his master. Such total authority comprises, as does any other power, its risk of error for the possessor, but the plesure of attempting the impossible in jumping an obstacle was too strong for me to regret a dislocated shoulder or a broken rib. My horse knew me not by the thousand approximate notions of title, function, and name which complicate human friendship, but solely by my just weight as man. He shared my every impetus; he knew perfectly, and better perhaps than I, the point where my strength faltered under my will...
- Memoirs of Hadrian

domenica 26 ottobre 2008

VAVA'U

18°39'S
174°00'W

02 Ottobre 2008


Antipodi, fiordi e maiali.

Le 450 miglia percorse verso Sud Sud Owest, ci hanno portato da Rose Island alle Vava'U, un gruppo di isole centrali appartenenti al vasto arcipelago delle Tonga che si estende per circa 600 miglia in una lingua di mare che va dai 15 ai 21 gradi a Sud dell'equatore.

Al di là del freddo occhio carto-geografico le Vava'U meriterebbero una presentazione più romantica: l'isola in cui siamo atterrati è nientemeno che la casa del Sole, il primo punto sulla faccia della terra a vedere il nuovo giorno; da qui, infatti, si comincia ufficialmente a sbarrare i giorni sul calendario, cerchiando la nuova data, mentre in tutto il resto del globo è "ancora ieri", e precisamente: a Buenos Aires sono le 8 del mattino, a Greenwich è mezzogiorno, e a Shangai le 8 di sera, ma sempre del giorno prima.


Un'altra implicazione di questo prodigio del convenzionalismo interessa particolarmente i viaggiatori: quelli che percorrono l'antimeridiano da est a owest potrebbero sentirsi deprivati di un giorno di vita, dovendo di fatto saltare a pie' pari 24 ore aggiungendo un giorno alla data dell'orologio, mentre quelli che viaggiano da owest ad est dovranno all'opposto sottrarre un giorno dal loro calendario.
A voi dunque la scelta: se voleste vivere due volte lo stesso giorno fareste meglio a muovervi verso il Sol levante, se viceversa voleste per qualche motivo particolare cancellare dalla vostra vita una particolare data dell'anno, farete meglio a trovarvi pronti ad attraversare l'antimeridiano da est ad owest in prossimità di essa... volere, potere... no?



03 Ottobre 2008, banchetti tongani.

Al mercato di Neiafu l'economia domestica è di facile gestione: i prodotti sono ammonticchiati in gruppetti, ed ogni montagnola costa 3 panga (circa 1,5 dollari americani). Fra i vari gruppetti vige una distribuzione gaussiana delle unità meno redditizzie, ovvero per ogni montagnola, tra i prodotti di buona qualità, c'è n'è sempre un buon 20% di scarsa qualità: in modo democratico sarà così assicurato che nessuno possa accaparrarsi tutto il meglio del mercato, lasciando agli altri gli scarti.

I tongani sono socevoli e molto simpatici, al mio arrivo saluto tutti con un gran "Malò e lelei!", poi passo da un banco all'altro comprando un po' da uno ed un po' dall'altro, facendo così tutti contenti. "Fefe hake?" domando per informarmi sul buon umore del venditore di turno, una gran risata da parte di tutti è in genere la reazione: "palanghi, palanghi" ("ah: stranieri!") pensano, anche se in realtà rispondono "say be!" (che vuol dire "bene, e tu?").
Fra una montagnetta di pomodori ed un mazzo di erbe, incontriamo Pimi, un omone tongano più largo che alto, che ci invita ad un banchetto che si terrà nel pomeriggio durante la celebraizione di una festa tongana.

Quando arriviamo sul luogo la prima cosa che salta agli occhi è la quantità di cibo presente: più o meno c'è un maiale intero arrostito ogni 3 persone, senza contare aragoste, granchi, cesti di frutti del pane, manioca, tapioca, e dolci di cocco. Le tavolate sono lunghe decine di metri, imbandite per ogni centimetro quadrato di cibo e bevande, intorno siamo circa duecento persone.

Dopo un discorso in tongano che non capisco, si inizia a mangiare, e subito gli elementi spuri del gruppo (gli stranieri) saltano agli occhi, sono gli unici infatti che esitano di fronte al maiale arrosto: come mangiarlo? dove sono le posate?

Gli autoctoni invece non hanno di questi problemi: spezzata la croccante pelle abbrustolita, affondano le dita nello strato di grasso sottocutaneo in cerca della carne, trovata la preda afferrano con tutta la mano e strappano via un pezzo quanto più grosso possibile di corpo del maiale, che poi divorano aiutandosi con entrambe le mani.
Dopo un primo momento di perplessità non mi tiro certo indietro dall'usanza locale, ed inizio ad azzannare cosciotti di maiale con una mano e chele di granchio con l'altra, ma dopo un po' si presenta inesorabile il problema delle mani: dove pulirsi dall'unto?

Mentre mi arrovello cercando una soluzione elegante, accortosi che le mie mani stazionano a mezz'aria in posizione da padrenostro, Pimi cerca di levarmi dallo stallo indicandomi la "baccinella": una spece di secchio pieno di acqua e limone (ricoperto da uno strato di grasso ormai accumulatosi in superficie per via dei troppi avventori), accompagnato da uno straccetto di tela a mo' di asciugamano, era conteso da tutti i duecento avventori come unica toiletta.
Chiudo gli occhi ed infilo le mani nel "lavandino"... cercando di togliermi il grasso dalle mani servendomi dello straccetto giro la testa un po' ripugnato, allora vedo un gruppo di vecchiette molto più sagge di me: si stanno strofinando le mani nella sabbia pulendole con grosse foglie di banano.

sabato 25 ottobre 2008

ROSE ISLAND

14°32'S
168°08'W





C'è un'isola in mezzo al pacifico ancora più isolata di suwarow, è totalmente disabitata, e solo pochissime barche vi si fermano per via della pass stretta e poco profonda che rende difficile l'accesso alla laguna.
Se non fosse per le tartarughe marine, che solcano con le pinne la sabbia rosa per deporre le uova, e se non fosse per gli uccelli, che a centinaia incurvano i rami degli arbusti, le spiagge ed il cielo dell'isola non avrebbero altri scultori che il vento ed il mare a cambiare la loro conformazione.


E' in posti come questo che mi capita di fantasticare come potessero pensare gli uomini di quattro o cinque millenni fa, quando un uccello che ti volteggi attorno e che si fermi a fissarti negli occhi come a volerti chiedere "che c'è?" era certo un avvenimento quotidiano.
Volteggiando ad un metro di distanza sembra che con le loro ali incrociate vogliano tessere le pagine di un grande libro per mettere nero su bianco i giorni a venire; allora comprendo come sia naturale credere agli dei.

Come dubitare che quel gabbiano a poppa del mio dinghy sia Atena dagli occhi lucenti venuta a guidarmi nel mio viaggio?



... I envy those who will succeed in circling the two hundred and fifty thousand Greek stadia so ably calculated by Eratosthenes, the round of which would bring us back to our point of departure. In fancy I took the simple decision of going on, this time on the mere trail to which our roads had now given way. I played with the idea... to be alone, without possessions, without renown, with none of the advantages of our culture, to expose oneself among new men and amid fresh hazards...
- Memoirs of Hadrian










giovedì 16 ottobre 2008

Avete mai festeggiato un naufragio?

Suwarow, all'ancora.
18:02 pm


Avvolto nell’accappatoio mi asciugo la faccia con un lembo del cappuccio, mentre guardo il tramonto coprire di ombre suwarow e le sue palme; un sorriso mi si schiude fra le labbra.
Ho 24 anni, da circa un anno sono in giro per il mondo in barcastop, ed oggi sono sopravvissuto al mio primo naufragio.
Ora se la cosa vi ha colpito drizzate bene le orecchie: non solo la barca che timonavo qualche ora fa ora riposa sul fondo del mare, ma sono stato proprio io ad affondarla, e quando quella sembrava ribellarsi, restando ostinatamente a galla, l’ho anche presa a picconate per fare un bel buco nello scafo e farla colare definitivamente a picco. Credete sia impazzito? Magari con la barba incolta e i capelli arruffati, gli occhi stralunati ed il ghigno spiritato, affiancate la mia immagine al ricordo di Jack Nicolson in Shining… Ma io non sono pazzo: chiedetelo a quelli che stavano con me… Certo, ero alla barra, ma sulla barca non ero solo. Ma non crediate, i miei compagni non si sono ammutinati: mi hanno seguito tutti fino in fondo, ed ognuno ha fatto la sua parte per assicurarsi che la prua di Fafinek non solcasse mai più nient’altro che la sabbia del fondo dell’oceano.
Tutto iniziò qualche giorno fa…

Il povero guardiano dell’isola, John, era disperato per via di quella dannata barca che un francese aveva abbandonato qui a suwarow dopo aver disalberato nelle vicinanze: senza armo e senza possibilità di riparazioni era d’altronde inpensabile portarla in qualsivoglia isola abitata, essendo la più vicina di queste a più di 500 miglia, ovvero una distanza impensabile da coprire solo a motore.
Destinata dunque all’abbandondo la povera barca è stata nei mesi successivi oggetto di cannibalizzazioni varie, fino a ridursi a nient’altro che lo spettro di un veliero; qualcosa di simile ad un vecchio parco giochi abbandonato.

Quando ieri finalmente è arrivata l’autorizzazione ad affondarla, John ha chiesto l’aiuto di tutti gli equipaggi delle barche presenti alla fonda.

Dopo una breve riunione per decidere il da farsi si è passati alla fase di ripulitura: nel più breve tempo possibile ogniuno era salito a bordo ed aveva cercato di accaparrarsi qualche pezzo utile: una bussola, una guarnizione, un pezzo del motore, qualche attrezzo.
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Terminata la fase di cannibalizzazione si è passati alla fase di traino: due dinghy assicurati ognuno ad un lato dello scafo garantivano la potenza ed un eventuale aiuto alla manovrabilità, mentre la lancia di John, da prua, trainava il futuro relitto.

Non senza difficoltà riusciamo a portare Fafinek fuori dalla pass. A questo punto facciamo saltare tutte le prese a mare per cercare di far imbarcare più acqua possibile… 10 minuti… 20 minuti… il naufragio è stranamente molto lento, quando ci accorgiamo che la barca non ha bulbo!! Senza un peso consistente che contrasti il gallegiamento affondarla sarà difficile.

Si passa dunque al piano B: armati di accetta e piccone cerchiamo di demolire la barca, ma ci accorgiamo che la vetroresina è più elastica e resistente di quello che pensassimo: gli arnesi rimbalzano contro lo scafo, complici anche le onde che sballonzolano la barca e non ci permettono di mettere a segno colpi efficaci.



Proprio quando ci stavamo rassegnando ad attendere il lento naufragio, individuiamo il punto debole della barca: sfondando il pavimento del pozzetto a picconate l’acqua inizia a salire a fiotti ed invadere i gavoni ed il motore… in men che non si dica la barca si impenna mentre la poppa sprofonda nell’acqua.

A mano a mano che sento l’acqua salire verso la pancia, il mio peso si fa meno insistente sul ponte della barca, e mentre osservo la prua impennarsi al cielo sento le palme dei piedi distaccarsi definitivamente dal ponte quando l’acqua mi è ormai arrivata alla gola… fino all’ultimo istante… Della nave il capitano salva la barra, del suo primo naufragio porta a casa la pelle, e qualche foto da incorniciare…


La sera ci si ritrova tutti in spiaggia per commemorare un evento alquanto insolito nella vita di un marinaio.




CRONACHE DI UNA GIORNATA DI PESCA




SUWAROW

13°18'S
163°00'W

06 Sept 08, 15.10 utc -10


E' arrivato il momento di salutare BoraBora. 750 miglia circa ci dividono dalla nostra isola di destinazione, Suwarow.
Suwarow è un parco nazionale appartenente alle isole Cook's, è completamente disabitata eccezion fatta del guardiano del parco. E' anche stata l'ultima isola su cui Moatisser abbia vissuto. Ci fermeremo lì per qualche giorno e poi dovremmo ripartire in direzione Vava'u.

Dopo una trentina di ore di navigazione, me ne stavo tranquillo a riposare in cabina, quando un rumore inconfondibile mi ha fatto balzare in piedi ed andare di corsa in pozzetto.
"Voooooooouuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuussssssssssssssssssssssss"
Massimo era già pronto a recuperare la lenza ed io sono corso al timone per fermare la barca e tenerla prua al vento: un pesce gigante doveva aver abboccato a giudicare da quanta lenza si stava chiamando. Inizia a questo punto una lotta per la vita. Da una parte il pesce si dimena per cercare di sfuggire a quel dannato amo di acciaio che gli trafigge la bocca e che lo tira verso l'inferno: fuori dal suo mondo, fuori dall'acqua, fuori dalla vita. Dall'altra il pescatore sente la pressione di questa creatura allo spasmo, che lotta disperatamente per non essere strappata al suo elemento: cerca di recuperare quanta lenza possibile, ma ecco che il pesce fa sentire che non è ancora pronto a mollare; un colpo di coda dietro l'altro, ristrappa metri di lenza dalle mani del pescatore che ora ha le dita segnate dal filo che gli ha quasi segato la pelle. E' un tiro alla fune micidiale: il pescatore tira da una parte per avvicinare il cibo, vuole mangiare; il pesce tira dalla parte opposta per allontanare la morte, vuole sopravvivere. Dopo 30 minuti di combattimenti, ecco il risultato finale:


11 Sept 08, 10.00 utc -11


Arrivati a Suwarow!! La navigazione è stata scomoda per via di un mare grosso con onde incrociate che non ci ha dato tregua. Inoltre il vento incostante con alternanza di tempeste e calme piatte non ci ha favorito. Ma alla fine eccoci qui, il posto è fantastico: un atollo paradisiaco nel mezzo del Pacifico, a 500 miglia da qualsiasi altra isola abitata.
Una volta arrivati la prima accoglienza ci è stata data dagli squali: un allegro gruppetto di una dozzina di squali blacktail non voleva saperne di lasciarci fare il bagno tranquillamente intorno alla barca. Successivamente John, il guardiano dell'isola, ci dice che non sono pericolosi fino a quando non c'è del sangue in giro...

John è il guardiano ufficiale del parco da 7 anni, e vive sull'isola deserta con la sola compagnia della giovanissima moglie Veronica, e dei loro quattro figli. John corrisponde alla mia rappresentazione mentale di Venerdì di Robinson Crusoe.



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E' molto orgoglioso della sua carica di guardiano del parco e ci accoglie in maniera solenne. Dopo i convenevoli e i documenti, iniziamo a parlare dell'isola, ci racconta la storia dei precedenti abitanti di Suwarow: Tom Neale, il ragazzo che visse qui per circa sette anni, primo abitante assoluto dell'isola che successivamente verrà scoperta da Moatissier, il quale ne farà la sua ultima dimora "fissa", ed in fine - al terzo posto - proprio John in qualità di guardiano mandato dal governo delle Cook's.



John è molto scontento del suo governo: lo lasciano solo con la famiglia senza contatti per mesi, ed un anno sono perfino arrivati ad abbandonarli sull'isola... suwarow è nell'occhio della rotta dei cicloni e dunque durante i sei mesi della stagione degli uragani anche gli alberi se ne andrebbero se potessero schiodare le radici e nuotare nell'acqua fino ad un "urricane hole" (un isola franca dagli uragani con un porto ben riparato). Due anni fa invece John si è ritrovato a dover chiedere un passaggio per sè e la sua numerosa famiglia ad una barca in transito perchè l'autority delle cook's a rarotonga si era "dimenticata" di mandare qualcuno a prenderli.





12 Sept 08


Andrea e Gabriela di Point Zero sono arrivati, e mentre Massimo va a pescare nella pass con Andrea, Gabriela ed Io ci dedichiamo ad un po' di snorkeling.
Suwarow ha in comune con la maggior parte delle altre isole disabitate e lontano dalle rotte normalmente battute una certa atmosfera come di giardino dell'eden: è facile che gli animali, i pesci e gli uccelli dell'isola in cui ci si imbatte non abbiano mai visto un umano prima; di conseguenza sono talmente curiosi che arrivano ad avvicinarsi tranquillamente per scrutare questi strani animali con due game e due braccia...


Sarà allora facile in questi posti voltarsi e trovarsi "tete a tete" con un qualche volatile che ci scruta a soli 30 cm di distanza e sembra chiederci cosa ci facciamo qui. Finchè si tratta di uccelli, tartarughe, parghi, pesce palla, granchi, aragoste o quant'altro questa confidenza può anche essere divertente, ma quando capita invece di girarsi nell'acqua e trovarsi di fronte uno squalo le cose cambiano, forse anche per quella sgradevole sensazione data dal sospetto che quello che si stia chiedendo lo squalo non sia cosa ci facciamo qui, ma "quanto tenera sarà la carne di questo strano pescione?"...


Fantasticando questi pensieri buttiamo l'ancora vicino al reef e fingendo di essere tranquilli ci prepariamo ad immergerci, ma ovviamente al momento di doversi buttare in acqua nessuno lo dice ma preferirebbe che andasse avanti l'altro: purtroppo in qualità di cavaliere non posso agire da gran cialtrone e far andar avanti Gabriela, a questo punto faccio di necessità virtù e bluffo mostrandomi sicuro ed audace nel tuffarmi per primo.
Al primo squalo che mi passa vicino sento gelare il sangue nelle vene, a dispetto dell'acqua intorno a me, che sembra farsi bollente. Rimango impietrito cercando di passare inosservato e seguo con occhi timorosi i veloci spostamenti del pescecane. Sembra che se ne stia andando, quando di scatto si gira e mi punta con gli occhi neri come palle da biliardo e la bocca a mezzaluna, piena di quei denti effilati come falci.





Il desiderio di prendere una foto dello squalo che mi punta è forte, ma la voglia di protendere la macchina fotografica allungando il braccio in avanti è poca, mentre l'istinto di frapporre qualcosa fra me e quelle fauci prevale. Spingo allora i piedi con le pinne verso il muso dello squalo e cerco di nuotare all'indietro, quando vedo che quello, dopo un primo giro di perlustrazione, non sembra affatto dell'idea di provare la carne bianca europea mi tranquillizzo.


Sebbene in giro ce ne siano parecchi, e la sensazione di essere circondati dagli squali non sia certo confortevole, a poco a poco prendiamo confidenza ed iniziamo pacificamente ad interessarci anche degli altri figli di poseidone.
Seguo allora per un po' un gruppo di parghetti che sembra fare nuoto sincronizzato, muovendosi con grazzia in loop perfettamente geometrici.


Mentre girovago fra i massi della barriera corallina, l'inseguimento di un piccolo pesce palla mi porta a scoprire una tartaruga.





13 sept


Uno dei vantaggi di vivere in mare è la possibilità di godere di quei cibi che pur essendo molto semplici e "naturali" sono impossibili da trovare freschi in città.
Anche per chi vive a Milano, che ha la piazza del pesce più fresco in italia, anche per chi è disposto a spendere un patrimonio nei migliori ristoranti di sushi, nemmeno per questi sarà possibile assaporare del pesce crudo come quello che ci hanno preparato andrea e gabriela...
In nessun ristorante di lusso si potrà mai mangiare un pesce che è stato pescato solo 2 ore prima, e molto pochi sono quelli che possono fornirne uno la cui carne sia resa succulenta da miliaia e miliaia di miglia nuotate nell'oceano.


Certo, magari mi toccherà aspettare ancora un anno prima di potermi gustare una buona burrata, ma volete mettere il piacere di assaporare il pesce arrostito sulla spiaggia proprio all'orlo del mare, il gusto particolare di un carpaccio di tonno appena pescato, la sensazione indescrivibile di gustare le ostriche procacciate qualche ora fa con le proprie mani, l'estasi dello spaghetto con le aragoste cacciate la notte prima allo scoglio vicino alla propria barca... Una cosa di certo posso dirvi: tremo all'idea di quando, tornato in italia, dovessi attendere con un numerino in mano il mio turno per comprare da un bancone del supermercato qualche pesce surgelato... allora il pensiero ritornerebbe a quando, invece di sgomitare fra vecchiette e zitelle ed i loro carrelli, nuotavo allo spasmo per acquattarmi sul fondo del mare, aggrappato ad uno scoglio in attesa del momento giusto per scagliare l'arpione contro una bella cernia, con il mio ossigeno ed il sangue del pesce come unica moneta da pagare rispettivamente al mare e agli squali. Forse una lacrima mi segnerà il volto, ma poi un sorriso: l'ho fatto una volta, sarò capace di rifarlo ancora.

E' certo questo il bello dei sogni: una volta che ne hai vissuto uno, un fuoco si accende dentro di te, e sarà la scintilla per bruciare ogni dubbio futuro. Se si lascia che la cenere dell'apatia ci cali sulle spalle, allora bisogna trovare la forza di gonfiare il petto e soffiare via la polvere che copre di grigio le giornate ed appesantisce le palpebre: allora bisogna spalancare gli occhi e trovare la forza di guardare dritto i propri traguardi, lasciare che il sole penetri nel cuore e scaldi la passione, ravvivendo il tizzone che trasforma in fuoco la voglia di farcela. E' questo il carburante dei sogni, e la ricetta per la realtà: la determinazione.




Come mai, Mecenate,
nessuno, nessuno vive contento
della sorte che sceglie
o che il caso gli getta innanzi
e loda chi segue strade diverse?

"Fortunati i mercanti",
esclama il soldato oppresso dagli anni
e con le membra rotte da tanta fatica;
"Meglio la vita militare",
ribatte il mercante sulla nave in balia dei venti,
"Che vuoi? si va all'assalto
e in breve volgere di tempo
ti rapisce la morte o
ti arride la vittoria".
Quando al canto del gallo
batte il cliente alla sua porta,
l'esperto di diritto invidia il contadino;
quell'altro invece, tratto a viva forza
di campagna in città a testimoniare,
proclama che solo i cittadini sono felici.
Esempi simili, tanto son numerosi,
finirebbero per rendere afono
persino un chiacchierone come Fabio.

A farla breve, ascolta
dove voglio arrivare:
se un dio dicesse: "Eccomi qui,
pronto a fare ciò che volete:
tu, ch'eri soldato, sarai mercante,
e tu, giurista, un contadino:
scambiatevi le parti
e via, uno di qua, l'altro di là.
Che fate lì impalati?"
Rifiuterebbero,
eppure era possibile che fossero felici.
...

- Orazio, Satire, I,1 -